Roberta Bellesini, chi è: età, storia e vita privata della moglie di Giorgio Faletti

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Roberta Bellesini, vedova dell’attore e scrittore Giorgio Faletti, oggi sarà ospite di Mara Venier a Domenica In, ma chi è davvero questa donna straordinaria?

Conosciuta per la sua dedizione al marito, Roberta Bellesini non è apparsa molto dopo la morte dell’amatissimo Giorgio Faletti. Figura di spicco, apprezzata e controversa, l’attore e scrittore infatti era un personaggio schivo, soprattutto riguardo i dettagli della propria vita personale. Allo stesso modo anche la sua compagna quando è stata costretta a dirgli addio, dopo 14 anni di vita vissuta insieme, si è mantenuta perlopiù nell’ombra.

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Roberta Bellesini, chi è: età, storia e vita privata della moglie di Giorgio Faletti

L’artista poliedrico Giorgio Faletti, si è spento all’età di 63 anni, la mattina del 4 luglio del 2014. Lo scrittore era ricoverato presso l’ospedale Molinette di Torino a causa di un tumore maligno e particolarmente aggressivo. Sua moglie, nella buona e nella cattiva sorte, gli è rimasta vicino e ha affrontato assieme all’attore tutti quei momenti bui che si sono susseguiti e hanno attaccato la sua salute in più di una occasione. Originaria di Asti, Roberta conobbe Giorgio Faletti e, nonostante gli iniziali dubbi, fu presto travolta dall’amore per lui: “Ero un po’ agitata perché pensavo di non aver argomenti di conversazione per via della differenza di età. Invece fu tutto facile, poi io sono sempre sembrata più adulta e lui più bambino, per cui la distanza era minore. Però ci vollero altre cene prima che ci baciassimo, finalmente, a casa sua. E dopo un po’ mi chiese di andare a vivere da lui a Milano”. La differenza di età fra i due, infatti, era notevole: ben 20 anni. Oggi 47enne, ha passato 14 anni della sua vita assieme a quell’uomo straordinario, vivendo una vita essenziale. La donna ha raccontato dell’ictus, avvenuto nel 2002, e di cui si rese conto una volta rientrata a casa: “Era il giorno in cui avrebbe dovuto fare la sua prima presentazione di Io uccido alla Mondadori di via Marghera. Per fortuna ebbi la lucidità di descrivere bene i sintomi al pronto soccorso, per cui lo portarono al Niguarda. Poco dopo, però, dovetti prendere la decisione più difficile della mia vita… C’era un farmaco che poteva sbloccare la situazione, ma in Italia era ancora in via sperimentale. E, non sapendo bene da quanto tempo Giorgio era in coma, avrebbe potuto essere letale. Più il tempo passava, più aumentava il rischio. Il medico mi lasciò dieci minuti per decidere, e io rischiai. Ho sempre pensato che per avere risultati si debbano correre rischi”. La reazione di Giorgio Faletti a una dimostrazione di tale affetto e presa di posizione fu netta: “Mi chiese di sposarlo. Parallelamente, la sua guarigione venne accelerata dai risultati clamorosi delle vendite di Io uccido”.

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La coppia viveva a Capoliveri, sull’Isola d’Elba, dove progettava con grande entusiasmo un futuro poliedrico, proprio come i loro interessi. Roberta, infatti, partecipava attivamente al processo creativo del suo amato: “Con Roberta, la mia compagna, avevamo un tormentone. Arrivavo da lei piagnucolando come un bambino e dichiaravo: ho un accenno di trama ma non ho stile. E lei, come si fa con i bambini, mi dava il budino”, aveva raccontato scherzosamente Giorgio Faletti. La loro tranquilla quotidianità fatta di piaceri semplici e scandita da lettura e meditazione, è stata nuovamente stravolta dalla scoperta, casuale, della malattia di Giorgio: “Doveva fare una risonanza magnetica perché aveva un’ernia da controllare, e da un po’ aveva un fastidioso mal di schiena”. Poi la diagnosi: “Ci siamo presi qualche giorno per decidere che cosa fare, io e lui. Ci hanno consigliato un medico di Los Angeles che lavorava con le eccellenze di tutto il mondo […] ma la nostra decisione di curarci in America era dettata soprattutto dalla necessità di avere un po’ di privacy. Nell’ultimo mese ha iniziato a non sentirsi più bene: faticava a camminare, a parlare. Hanno fatto diversi esami prima di capire che aveva metastasi al cervello […] Lui aveva già deciso di tornare per fare la radioterapia in Italia, ma sono sicura che in cuor suo avesse capito che non c’era più nulla da fare. Desiderava tantissimo tornare in Italia, lo desiderava con tutto se stesso. Tant’è che ha tenuto duro fino a che siamo arrivati qui. Poi ha mollato. Vorrei però che tutti sapessero che non ha mai avuto un momento di rabbia o di sconforto. Mi diceva: ‘Comunque vadano le cose, io ho avuto una vita che altri avrebbero bisogno di tre per provare le stesse emozioni. E se penso che sarei dovuto morire nel 2002 e in questi 12 anni ho fatto le cose a cui tenevo di più, devo ritenermi l’uomo più fortunato del mondo’”. Forse l’unico rimpianto di Giorgio Faletti è stato che il mondo letterario non l’abbia mai veramente apprezzato: “Lui faceva comodo agli editori e ai festival, perché portava pubblico e faceva vendere tante copie. Però gli intellettuali non lo hanno mai veramente accettato”. Roberta Bellesini ha rivelato quanto il marito soffrisse per questo e, in sua memoria, si è rimboccata le maniche partecipando attivamente alla stesura della prima serie televisiva di Io uccido, tratta dall’omonimo thriller best seller del marito, simbolo di un affetto incrollabile, anche dopo la sua morte.

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Marta

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