Sui debiti cambia tutto: niente confisca se è intestato alla ex ma per i creditori è un disastro

Una sentenza destinata a fare giurisprudenza ma soprattutto a fare discutere: riguarda la confisca dei beni.

La Corte di Cassazione ha stabilito un principio fondamentale: la casa di proprietà esclusiva dell’ex coniuge non può essere confiscata, neppure se l’imputato per evasione fiscale ci abita e ne paga le spese di gestione.

Porta della camera da letto aperta
Sui debiti cambia tutto: niente confisca se è intestato alla ex ma per i creditori è un disastro – viagginews.com

La sentenza è di pochi giorni fa e di fatto riscrive le regole sul possesso del bene e apre nuovi scenari per la tutela del patrimonio all’interno delle dinamiche familiari post-divorzio. Il Fisco difficilmente potrà entrare in quella casa. La Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso presentato da una donna, ha messo un punto fermo su una questione delicata. La donna si era vista sottrarre un immobile di sua legittima proprietà semplicemente perché l’ex marito, condannato per non aver onorato i suoi debiti fiscali, continuava a vivere in quell’abitazione.

La tesi iniziale dell’accusa, confermata dal Tribunale di Milano, si basava sul concetto di “disponibilità” del bene: se l’uomo vi risiedeva e sosteneva i costi di gestione, l’immobile era, di fatto, nella sua sfera di controllo e, pertanto, punibile con il sequestro. Per gli Ermellini, tuttavia, questo ragionamento si è dimostrato fallace e troppo superficiale.

Sequestro casa di lei quando lui è condannato per evasione fiscale: la sentenza che chiarisce tutto

Per la Cassazione il fatto che l’uomo abitasse l’appartamento e si facesse carico delle spese non dimostra affatto una sua disponibilità informale sul bene, ma al contrario, ne certifica la natura onerosa del godimento.

Donna che bussa alla porta di una casa
Sequestro casa di lei quando lui è condannato per evasione fiscale: la sentenza che chiarisce tutto – viagginews.com

I Supremi giudici hanno evidenziato come questa situazione fosse stata decisa in modo chiaro negli accordi presi durante la fine del matrimonio. L’uomo, rimanendo nell’appartamento, si era semplicemente accollato i costi, esattamente come farebbe un qualsiasi inquilino che versa un canone di locazione.

Per smontare la tesi del Tribunale, la Cassazione ha utilizzato un paragone calzante, definendo la logica seguita dai giudici di merito una “ingiustificata ipostasi logica”. Ammettere la confisca in questo scenario, spiegano gli Ermellini, equivarrebbe ad ammettere la confisca di qualsiasi bene che un soggetto condannato detiene in affitto, pagando regolarmente un canone al legittimo proprietario.

La permanenza nell’immobile non è, dunque, un sintomo automatico di disponibilità ai fini del sequestro, ma va sempre analizzata alla luce del rapporto giuridico che la regola, che in questo caso era un accordo post-matrimoniale a titolo oneroso. Un altro elemento determinante a favore della donna era la natura non fittizia degli accordi patrimoniali di divorzio.

La donna aveva ottenuto la piena titolarità di quell’appartamento rinunciando ad altri beni coniugali. Questo, secondo la Cassazione, dimostra in modo inequivocabile la natura onerosa e non simulata dell’accordo. Non si trattava di una manovra per sottrarre il bene ai creditori, dunque.

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