Possono i messaggi offensivi scritti in chat determinare un licenziamento? Risponde il Tribunale di Milano.
Una decisione che da una parte difende il lavoratore, ma dall’altra espone i datori di lavoro o colleghi al pericolo di essere offesi senza essere tutelati. Una piccola vittoria degli haters?

Il Tribunale di Milano si è pronunciato sull’utilizzabilità, ai fini del licenziamento disciplinare, dei messaggi a contenuto offensivo e diffamatorio inviati dal lavoratore in chat private. Tutto nasce da una vicenda in cui un lavoratore ha chiesto l’annullamento del licenziamento disciplinare intimatogli dall’azienda per cui lavorava.che aveva contestato all’uomo, assunto nel 2021 come operaio, una serie di comportamenti ritenuti disciplinarmente rilevanti. Le contestazioni riguardavano principalmente messaggi pubblicati in una chat di gruppo condivisa con alcuni colleghi.
L’operaio, utilizzando il numero di cellulare aziendale, aveva inviato messaggi contenenti espressioni ritenute offensive nei confronti del sindaco del comune, del comandante della polizia locale e del gruppo aziendale stesso. Oltre alle offese in chat private, aveva pubblicato anche su un social network, quindi in modalità pubblica, un post nel quale si era qualificato come dipendente dell’azienda e aveva utilizzato espressioni denigratorie nei confronti dei vigili urbani.
Licenziamento per ingiurie in chat private o social: l’ultima sentenza
La difesa del lavoratore ha rilevato la non utilizzabilità, ai fini disciplinari, di tutti i messaggi audio e scritti contestati, invocando la tutela costituzionale della corrispondenza prevista dall’articolo 15 della Costituzione.

Il Tribunale ha accolto la tesi difensiva, richiamando la giurisprudenza di Cassazione che equipara le chat private alla corrispondenza tradizionale. La Corte ha sottolineato come i messaggi scambiati in gruppi ristretti e destinati a rimanere riservati rientrino nella tutela dell’articolo 15 della Costituzione, che garantisce “la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione”.
Anche la Corte Costituzionale aveva sentenziato come posta elettronica e messaggi istantanei siano “del tutto assimilabili a lettere o biglietti chiusi”. Il Tribunale ha poi considerato irrilevante l’utilizzo del cellulare aziendale per l’invio dei messaggi, precisando che non sussistevano elementi per ritenere che terzi avessero il diritto di accedere ai contenuti della chat o di trasmetterli al datore di lavoro, nemmeno in considerazione della natura aziendale del dispositivo utilizzato. Il giudice, tuttavia, ha ritenuto pienamente utilizzabile ai fini disciplinari il post pubblicato sul social network in modalità pubblica. In questo caso, la comunicazione era diretta a “una indifferenziata platea di destinatari”, perdendo quindi la natura riservata che caratterizza le chat private. Nonostante questo, è stato ritenuto comunque sproporzionato il licenziamento.





