Il virologo Guido Silvestri: “Ecco quando il Coronavirus può tornare”

“Il Coronavirus è stagionale”, spiega il noto virologo Guido Silvestri, e “con il caldo meno letale”. Ma “il suo ritorno dipende anche da noi”. 

Dietro ai dati che certificano il calo dei contagi da Coronavirus non c’è soltanto il distanziamento fisico, ma anche la buona stagione, spiega Guido Silvestri, il famoso scienziato italiano che insegna all’Emory University di Atlanta, negli Stati Uniti. Quanto sostenuto nelle scorse ore dal dottor Alberto Zangrillo, dunque, è fondato: la carica virale nei tamponi per il Coronavirus è effettivamente più bassa rispetto all’inizio dell’epidemia. Ma la buona stagione, avverte l’esperto, è destinata a finire e il rischio di tornare al punto di partenza non va sottovalutato. .

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Il monito del dottor Guido Silvestri

Intervenendo sulla sua pagina Facebook Guido Silvestri infonde una certa dose  di ottimismo per quanto riguarda la Fase 2, citando vari casi che sembrano confermare la stagionalità del Coronavirus. Resta però l’incognita dell’autunno. Il clima caldo e secco protegge innanzitutto perché a queste condizioni “inoculi virali più piccoli sono meno capaci di raggiungere i polmoni, come dimostrato in vari modelli animali”. Inoltre le temperature più alte “rendono instabili attraverso rapida evaporazione le goccioline di fomiti (saliva, starnuti, tosse) che trasportano il virus nell’ambiente”. Trattasi di un meccanismo “noto ai virologi da decenni, e spiega perché tutte le infezioni virali respiratorie (Influenza, para-influenza, RSV, rhino, adeno, etc), sono altamente stagionali, con chiarissima predilezione per l’inverno”.

“Il primo elemento da considerare – afferma lo scienziato – è la chiara stagionalità dei quattro Coronavirus che sono endemici nella popolazione umana (CoV-HKU1, CoV-OC43, CoV-NL72 e CoV-229E), come emerso in modo straordinariamente chiaro dalla studio di Nickbashkh et al ‘Epidemiology of seasonal coronaviruses: Establishing the context for COVID-19 emergence’ JIAA 2020”. Silvestri mette poi a confronto il Canada e l’Australia, “due paesi lontani ma simili” in termini di popolazione, misure profilattiche messe in atto durante l’epidemia e sistemi di governo. “Le prime morti da COVID si sono verificate in entrambi i paesi il 9 marzo, e il 10 marzo c’erano 98 casi attivi in Canada e 107 in Australia – scrive -. Dopo oltre due mesi, a fine maggio, il Canada ha 90.179 casi e 7.073 morti accertati, mentre l’Australia ha 7.185 e 103 morti”. Morale: le temperature mediamente più alte in Australia e il clima più mite hanno ostacolato la diffusione del virus.

Detto questo, “c’è la notevole possibilità che l’infezioni ritorni a fine autunno inizio inverno (direi dicembre, se dovessi fare una previsione) e si rimetta a causare infezioni più severe di oggi perché legate ad inoculi con cariche virali più elevate”. “Questo punto non può essere omesso – conclude Silvestri – perché essere ottimisti non significa essere dei giuggioloni che ridendo e scherzando vanno a schiantarsi contro un muro”.

EDS

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