Google ci “spia”, gli smartphone ci tracciano anche quando non li usiamo

(iStock/Archivio)


Google ci “spia”, gli smartphone ci tracciano anche quando non li usiamo.
Un recente dossier firmato dal professor Douglas Schmidt, della Vanderbilt University del Tennessee, rivela alcuni dubbi processi con i quali Big G utilizza i dati personali degli utenti, anche quanto i device non sono in attività. Nel mirino il sistema operativo Android.

Gli smarthphone ci tracciano anche quando non li usiamo

Google Data Collection, è questo il nome del dossier firmato dal professor Douglas Schmidt, docente di Computer Science alla Vanderbilt University del Tennessee, con sede a Nashville.
Il documento, che in queste ore è al centro dei riflettori mediatici di mezzo mondo, svelerebbe alcuni processi dei quali pochi utenti sono a conoscenza e con i quali la rete utilizza dati che ci riguardano direttamente. In cambio di questi ultimi Google offre i cosìdetti servizi gratuiti tra cui Android, Gmail e Google Maps.
Nell’opuscolo del professor Schmidt si spiega come Google raccolga e cataloghi i dati dei consumatori, definendone in questo modo abitudini e preferenze. Un’analisi che svelerebbe alcuni dubbi sul trattamento dei dati personali dal colosso del web.
Secondo quanto descritto nel documento, Google sarebbe infatti in grado di tracciare i suoi utenti a tutto tondo anche quando i telefonini sono spenti o si sta navigando sul web utilizzando la modalità “navigazione in incognito”. La raccolta di dati da parte di Google prosegue dunque anche quando meno ce lo aspettiamo.

I dati raccolti dal professor Schmidt

I dubbi di Schmidt si concentrano sul sistema operativo Android al quale la Commissione Europea ha recentemente comminato una multa da 4,3 miliardi di euro.
Configurando due smartphone in modo diverso, uno con Android (e Google Chrome come browser) e l’altro, un iPhone con Safari e senza Chrome, non utilizzandoli per 24 ore, Schmidt ha rilevato che il dispositivo Android ha inviato 900 campioni di dati ai server di Google. Di questi il 35% si riferiva alla posizione, mentre il resto era per Google Play e per i dati del dispositivo. Il telefonino configurato con Android dunque ha inviato nelle 24 ore di inattività circa 4,4 megabyte di dati a Google. Mentre l’iPhone ne ha inviati il corrispettivo di 0,76 megabyte, circa sei volte meno nello stesso periodo. I server di Google, hanno inviato poco più di 40 richieste all’ora sul dispositivo Android, rispetto alle 0,73 richieste all’ora su iPhone. Infine i dati dell’analisi hanno rivelato che i dispositivi iPhone inviano dati 10 volte meno frequentemente ai server Apple rispetto a quanto accade per i dispositivi Android verso i server Google.

Google ci “spia”, le dichiarazioni del professor Schmidt

“I nostri esperimenti dimostrano che un telefono Android fermo e inattivo (con Chrome attivo in background) comunica le informazioni sulla posizione a Google 340 volte durante un periodo di 24 ore, con una media di 14 comunicazioni dati all’ora”, ha dichiarato il professor Schmidt. I dati vengono trasmessi anche se il device non è in attività, mentre in modalità attiva il flusso dati si moltiplica. “Se l’utente inizia a interagire con lo smartphone Android le comunicazioni passive ai domini del server di Google aumentano significativamente”, si legge ancora sul dossier. Questo lascia inoltre dedurre che “anche in assenza d’interazioni con le App di Google, questo sia comunque in grado di operare la raccolta e trasmetterla alle aziende partner per scopi pubblicitari”. Infine nella sua analisi Schmidt fa riflettere sul fatto che fino ad oggi Google,“pur avendo la capacità di raccogliere molte più informazioni personali sui consumatori”, per esempio rispetto a Facebook, finito spesso al centro di bufere mediatiche, è riuscito finora a celare le sue pratiche di raccolta dei dati.
BC

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