Lattuga romana provoca epidemia di e-coli negli Stati Uniti

(Pixabay)

Un’incredibile epidemia di e-coli ha provocato altre 5 morti negli Stati Uniti. Le indagini hanno ricondotto l’espansione del virus a consumatori di lattuga romana. 

La più grande infezione di e-coli dal 2006

Secondo i CDC, Centri per la prevenzione ed il controllo delle malattie, i casi segnalati sarebbero ormai a quota 197 in 35 Stati americani, la più grande epidemia di Escherichia coli registrata negli USA dal 2006 (in quell’anno la fonte di infezione furono gli spinaci).

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La sua consistenza, croccante e dolce, la rende la più gettonata fra le varietà consumate dagli americani e lattuga romana responsabile è stata individuata fra quella coltivata nella regione di Yuma, nell’Arizona, anche se non ne è ancora stato individuato il vero e proprio epicentro di distribuzione in quanto, soprattutto nel periodo invernale, la zona fornisce circa il 90% della produzione negli Usa. E’ stato individuata una grande fonte di infezione in una prigione dell’Alaska dove 8 prigionieri si sono ammalati ma è ancora da verificare da dove essa abbia avuto effettivamente origine.

La lenta incubazione ne rende difficile l’identificazione

La più grande apprensione riguardo all’e-coli è la lenta incubazione che porta i sintomi a manifestarsi molto dopo la contrazione del virus, fino a 5 giorni, e la difficoltà di diagnosticarne in tempo l’infezione. I sintomi più blandi dell’e-coli si manifestano concentrandosi, principalmente, all’apparato gastrointestinale, come ad esempio crampi allo stomaco, diarrea e vomito.

La problematica più importante riguarda, invece, quando il sintomo riporta ad una sindrome emolitico-urenica, ossia una gravissima insufficienza renale causata da un preciso ceppo dell’e-coli che colpisce i reni facendosi strada nel circolo sanguigno.

La regione di Yuma ha interrotto la distribuzione ma a causa della durata della conservazione della lattuga romana, pari a 21 giorni, non si può essere certi che i prodotti provenienti da quell’area non siano più presenti nella catena di approvvigionamento, come dichiarato da Peter Cassell esperto della divisione Food Safety.

Marta Colanera

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