Parla il carabiniere che scattò la foto al centro delle polemiche dopo l’omicidio Cerciello Rega: “Hjorth fu bendato perché dava testate”.
La foto di Christian Gabriel Natale Hjorth bendato in caserma, e con i polsi legati alla sedia, ha fatto il giro del mondo, suscitando un’ondata di indignazione e dissenso da parte dei “garantisti” (e non solo). A fare chiarezza sulla vicenda è ora il carabiniere che scattò la foto incriminata: a suo dire, si trattò di una misura di emergenza per frenare i suoi gesti violenti.
Non solo: la foto che lo ritrae in quello stato fu diffusa in una chat riservata di 18 carabinieri di varie caserme d’Italia “al fine di rassicurare tutti i partecipanti sul fatto che i due responsabili dell’omicidio del vicebrigadiere Mario Cerciello Rega erano stati arrestati”. E’ quanto scrive l’avvocato Andrea Emilio Falcetta nella memoria difensiva che ha depositato ieri alla Procura ordinaria e a quella militare come difensore del maresciallo indagato per rivelazione del segreto d’ufficio per aver immortalato il 18enne californiano. Secondo la sua versione (ancora da verificare) fu poi un altro carabiniere a diffondere la foto all’esterno.
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L’immagine in questione apparve sui media il 28 luglio scorso, a tre giorni dall’assurda morte del vicebrigadiere Cerciello Rega a Prati, e subito l’Arma prese posizione, assicurando che avrebbe individuato i responsabili per spostarli ad altri incarichi. “Si tratta di un episodio inaccettabile” fu il commento a caldo del comandante generale Giovanni Nistri.
Poco a poco emersero altri dettagli. Nella stanza immortalata erano presenti al momento dello scatto cinque militari: il primo individuato, colui che bendò il ragazzo, provò a difendersi dicendo che il bendaggio serviva a impedire al 18enne, fermato assieme all’amico e complice Lee Finnegan Elder, di sbirciare nei monitor e sui fascicoli aperti sulla scrivania – ma in realtà i monitor erano spenti.
La memoria dell’avvocato del secondo carabiniere racconta un’altra verità: “Mentre ancora si rincorrevano notizie inerenti l’effettiva identità dei due autori dell’omicidio il P. scattò la foto per cui è oggi indagato e la condivise nella chat medesima (sapendola riservata unicamente a carabinieri che avevano trascorso tutta la notte a condividere notizie e indicazioni sui possibili autori ‘magrebini’ del vile attentato) anche e soprattutto al fine di rassicurare tutti i partecipanti sul fatto che i due soggetti erano stati arrestati, nonché di far notare che l’informazione inizialmente fornita dal collega di Mario [Andrea Varriale] era totalmente inesatta’.
Il maresciallo in servizio presso la compagnia Roma Centro racconta inoltre, tramite il suo difensore, le fasi concitate dell’arresto dello statunitense, che avrebbe provato a liberarsi colpendo i carabinieri a suon di “testate” e scagliandosi contro il muro, riportando così anche delle ferite al volto. La benda fu quindi uno “strumento di contenimento legittimo e proporzionato”. Il maresciallo ribadisce poi che l’interrogatorio si è svolto nel pieno rispetto delle procedure e garanzie dell’indagato.
Non tutti però sono convinti di questa ricostruzione. “Che le manette vengano utilizzate a fine di contenimento sarebbe plausibile, ma in tanti anni di professione non mi è mai capitato di veder utilizzato il bendaggio ‘per evitare’ che un fermato ‘faccia male a se stesso o ad altri'”, commenta Francesco Petrelli, legale di Cristian Gabriel Natale Hjort. “Senza entrare nel merito di un’indagine che è ancora in corso – aggiunge – diciamo solo che se tale giustificazione è autentica e l’affermazione corrisponde al senso comune la cosa non può che destare qualche sorpresa e qualche perplessità”.
EDS