Erasmus, quei cervelli in fuga che non fanno più ritorno a casa

L’Erasmus attrae ogni anno sempre più ragazzi che scelgono di partire. Un’esperienza unica, di studio e di vita, che spinge sempre più studenti a fare le valige e trascorrere qualche mese lontano da casa. Al ritorno, non si è più gli stessi. Ma c’è anche chi decide di non tornare, attratto dalle possibilità che offrono le città estere. Lo sbarco, talvolta, diventa da temporaneo a definitivo: e l’Italia perde i cosiddetti cervelli in fuga.

Quasi 38.000 sono gli studenti italiani volati all’estero nel 2018, circa 1.500 in più rispetto allo scorso anno. Un’esperienza transitoria, solo di qualche mese, che spesso si trasforma in un’esperienza di vita. Qualcosa che spaventa, all’inizio. L’idea di fare le valige e partire alla scoperta di un posto nuovo, spesso soli e insicuri, fa paura. L’idea di lasciare, anche solo per un periodo, la nostra casa, la nostra terra, ed essere catapultati oltreconfine, in un posto che ha altre abitudini, altri stili di vita, un’altra lingua, rende timorosi. Per questo, fare le valige e scegliere di andare, può non essere facile come sembra. La paura è lecita,  giustificata dall’idea di non sapere cosa aspetta dall’altra parte del mondo. Insieme alla paura, però, c’è anche l’adrenalina, la voglia di andare, di scoprire, di vivere qualcosa che non si dimentica più.

Ripercorrendo le tappe, spesso a spingere a fare domanda è solo curiosità. Quel “magari” che spesso ci porta a vivere le esperienze più belle e inaspettate. Spesso, e per fortuna, quel caso si trasforma in una possibilità. Così, pubblicate le graduatorie, sappiamo che il caso o il merito ci ha scelti. Ha scelto noi. A quel punto, c’è chi dice no. E c’è chi accetta. E, per chi accetta, comincia la parte che sembra più difficile: i preparativi.

Prima di partire per un lungo viaggio

Step 1: burocrazia. Una burocrazia che inizia mesi e mesi prima di partire e termina quando rientri. Firme, carte, test, esami, domande, fotocopie, scadenze, file interminabili fuori agli uffici, learning agreement, scheda di accettazione. In quel momento, viene voglia di mollare tutto e lasciar perdere. Ciononostante, non lo fai. In quei momenti, la tua mente è già altrove e ti immagini già, in quel posto lontano da tutti, mentre dai uno sguardo all’università ospitante e agli esami da sostenere. E ti senti già cittadina del mondo, ti senti già in Erasmus anche se sei ancora a casa. Certo, hai anche paura. Ma la paura non è mai abbastanza da farti mollare.

Step 2: la lingua. Quella lingua che non conosci, o conosci a malapena. Cominci a studiare qualcosina, fai le prove davanti allo specchio. Ti senti già tedesca, francese o spagnola. Cominci a provare le cadenze, anche se non sai assolutamente nulla di tedesco, francese o spagnolo. La imparerò, ti dirai. In realtà, puoi studiare ore e giorni ma solo sul posto riuscirai a parlarla, con figuracce e tentativi annessi.

Step 3: cercare casa. Hai bisogno di un tetto e un letto dove dormire. Cominci a cercare nei siti di alloggi, fai domanda per studenti universitari, ti iscrivi nei gruppi “cerco casa disperatamente” sui social. Sono tutti disperati come te. Intanto, sventi una cinquantina di truffe, ti rivolgi alle agenzie e a quel punto cominci a fare i conti con i soldi: a quel punto, capisci che gestire gli spiccioli non è cosa facile e che devi essere capace ad investire quel denaro nel migliore dei modi possibili. Il cosiddetto budget che non puoi superare. Il tempo stringe, intanto sono passati mesi, e il giorno si avvicina: l’aereo è prenotato, la casa è pronta, le carte anche. Ci sei quasi. Cominci a fare le valige, metti tutto ciò che serve perché ti sembrerà che, dove andrai, non ci saranno negozi né vita sociale. Metti in valigia i ricordi, le fotografie, le cose care. Perché, in fondo, non si può partire senza un po’ di nostalgia. Intanto… tua madre ti dice di stare attenta. Ti chiama tuo nonno che piange, la tua amica che non vede l’ora di venirti a trovare e tua sorella maggiore che ti raccomanda le cose da non fare. E poi c’è il papà che dice: “qualsiasi cosa, chiama che io arrivo”. E tu lo sai che se dovesse succedere qualcosa, non potrà arrivare così in fretta. Ma non importa: dici sì e annuisci. I papà sono supereroi.

Saluti, uno sguardo ai documenti. I mobili di casa tua si svuotano, saluti il gatto, il cane e la vicina… che non si sa mai potresti non rivederla più. Prendi l’ultimo caffé al tuo bar di fiducia, e dici a tutti: “Domani parto, vado in Erasmus”. Domani arriva, prendi le cinque o sei valige, chiudi casa tua, piangi, ti dirigi all’aeroporto. Allora le lacrime si moltiplicano perché piange anche la mamma, il papà, la nonna e chi ti ha accompagnato. Vorresti non partire più, se è la prima esperienza fuori casa. Hai paura, hai tanta paura. Ti senti in colpa per i tuoi genitori, che lasci soli. Poi fai un bel respiro, saluti tutti e ti avvii al gate. Sei sola. Non c’è più nessuno. Ed è allora che comincia il tuo Erasmus.

Sei arrivato: non hai più paura

Atterri in una nuova città nella quale resterai qualche mese, o un anno, o per tutta la tua vita. Non lo sai ancora ma quell’arrivo lo ricorderai per sempre e ti cambierà l’esistenza. Arrivi, prendi le valige, e ti senti immerso in una vita che non conosci. Ti senti spaesato, sei ancora solo, e non sai la lingua. Prendi un taxi e arrivi a casa tua, cerchi di ambientarti ma ancora non capisci bene dove ti trovi. Non puoi parlare, non capisci e non ti puoi esprimere. Allora resti muta. Quella sensazione di impotenza dura qualche giorno. Poi passa. Poi, quello che accade non fa più paura. Vai in università, ti guardi intorno. Sistemi la burocrazia. Cominci a prendere dimestichezza con la lingua. Hai nuovi ritmi, ora. Tua madre chiama. Sto bene, mamma. Sto una meraviglia, mamma. Sì, mi manchi mamma. Hai un nuovo bar di fiducia, ora. Hai nuovi amici pazzi ora. Cominci a mettere insieme frasi sensate. Ti senti forte, potente, un supereroe come il tuo papà che ti chiama e chiede se hai soldi. Devi fare la spesa, la lavatrice, i piatti, cucinare. Devi anche studiare, prendere i mezzi, e divertirti. Non troppo, ma neanche poco. Sono in Erasmus. Sono sola. Ma ho un sacco di gente intorno. Ho altri amici che sono come me, che vivono come me. Sono la mia famiglia. Vengono da tutto il mondo e ognuno fa cose diverse.

Abbiamo le stesse paure e no, non siamo uguali. Ma siamo belli. Giovani e spensierati. Allegri. Felici. Mamma, sto bene. Tra qualche giorno torno a casa. Il mio Erasmus è finito. Sono passati mesi ma nella tua mente è trascorso qualche giorno. Non sei più la stessa. Tutto è diverso. E casa ti aspetta. Hai due possibilità. Restare lì, in quella terra straniera. Oppure tornare a casa. Quella esperienza non è la sola, non è l’unica. Ce ne saranno altre. Torno per essere migliore, torno per ripartire. Oppure resto. Sto bene qui. Ho più cose di quelle che mi offre l’Italia. Scusa mamma. Anzi no. Torno da te mamma. Perché sono diventata più adulta ed ora so cucinare da sola. E vedrai, mamma, quante cose ho imparato. Papà, ho finito tutti i soldi. Ma torno a casa. Torno da te. Perché la mancanza fa parte del viaggio. Il ritorno anche. Quindi, torno a casa.

Tornare

Non vorresti tornare, in fondo. Sei combattuta ma devi farlo. Allora l’iter si ripete. Sistemi la burocrazia. Carte, documenti, firme. Il tuo periodo è finito. Saluti gli amici, qualcuno resta ancora lì, ancora qualche mese. Qualcuno torna con te. Piange con te. Saluti il nuovo bar di fiducia, la nuova vicina… che non si sa mai potresti non vederla più. Le ultime foto, l’ultima cena. Fai le valige. Non si chiudono. Hai più cose di quando sei partita. Hai un bagaglio pieno di esperienza, di vita, di affetti. Ricordi, tanti. La capacità di saper stare da sola, le difficoltà, gli esami superati. La paura, l’adrenalina, la cultura. Hai fatto tutto ciò che dovevi, sei riuscita. E hai nostalgia, ti manca tutto. Che farai ora? Ora che torni a casa? Tornare fa più paura di partire.

Ma l’Erasmus insegna l’arte del viaggio: e l’arte del viaggio è sapere come andare. E scoprire la bellezza dei ritorni. In quell’aeroporto che è per te il luogo degli addii e degli abbracci. In quella casa che è sempre casa tua. E quella valigia sempre pronta dietro l’angolo. Quasi quasi… l’anno prossimo riparto in Erasmus.

Chiara Feleppa

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