Amazzonia: il polmone verde del mondo a rischio per colpa della mafia

ZE DOCA, BRAZIL - NOVEMBER 23:  A fire burns along a highway in a deforested section of the Amazon basin on November 23, 2014 in Ze Doca, Brazil. Fires are often set by ranchers to clear shrubs and forest for grazing land in the Amazon basin. The non-governmental group Imazon recently warned that deforestation in the Brazilian Amazon skyrocketed 450 percent in October of this year compared with the same month last year. The United Nations climate change conference begins December 1 in neighboring Peru.  (Photo by Mario Tama/Getty Images)
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In Brasile la mafia del legno continua ad appiccare incendi dolosi in aree abitate da comunità indigene che proteggono la foresta amazzonica, per costringerle ad abbandonare i propri territori e continuare ad alimentare i traffici illegali, deforestando in aree protette. È quanto denuncia Greenpeace, che da tempo collabora con alcune di queste tribù indigene per difendere le loro terre e quindi la loro sopravvivenza.

Da mesi, nello stato amazzonico del Maranhão, divampano incendi molto estesi che hanno interessato i territori dell’Alto Turiaçu, di Araribóia, e di Caru. In queste riserve, costantemente minacciate, nell’indifferenza del governo, e nella Riserva Biologica Gurupi si trova ciò che rimane della foresta amazzonica dello Stato del Maranhão.

Secondo il leader indigeno Antônio Wilson Guajajara, gli incendi sono atti criminali perpetrati dalla mafia del legno come rappresaglia per le attività di monitoraggio e protezione della foresta svolte dalle comunità locali.

Nel periodo tra agosto e ottobre del 2015 è stata registrata una media di 560 nuovi focolai al giorno, con le fiamme che hanno consumato il 45 per cento (circa 190 mila ettari) della foresta del Territorio Indigeno di Araribóia. Atti di deforestazione selvaggia e illegale che mettono in serio pericolo la sopravvivenza di numerose comunità Guajajara e Awá-Guajá, tra le ultime tribù indigene a essere entrate in contatto con il mondo occidentale e tra i popoli più minacciati al mondo.

«La deforestazione illegale in territori indigeni è una piaga che affligge tutto il Brasile. Le popolazioni locali lottano per proteggere la loro casa e invece di essere tutelate, come previsto dalla legge brasiliana, vengono lasciate in balia della mafia del legno che continua a prosperare, ricorrendo sempre più spesso alla violenza» dichiara Martina Borghi, Campagna Foreste di Greenpeace Italia.  «A inizio settembre Greenpeace ha aiutato gli indigeni Ka’apor fornendo mezzi tecnologici per il monitoraggio indipendente del loro territorio. Questa misura ha permesso loro di non esporsi più in prima persona, ma non ha evitato che la mafia del legno continuasse ad appiccare incendi per isolarli»

Ora a bruciare è la riserva indigena del Caru. Le fiamme che circondano i villaggi degli Awá-Guajá hanno consumato gli alberi da frutta, reso inagibili le vie di accesso al fiume e rendono impossibile andare a caccia. Ciò significa che in questo momento gli Awá-Guajá non sono più in grado di alimentare le proprie famiglie. Da giorni gli indigeni lavorano costantemente per cercare di spegnere gli incendi e il supporto del governo non è affatto sufficiente. La situazione è così disperata che gli indigeni devono combattere le fiamme praticamente da soli.

«Il governo brasiliano deve fare molto di più per proteggere queste popolazioni dalla mafia del legno. Ma anche il resto del mondo ha le sue responsabilità. La continua richiesta di legname pregiato brasiliano è il principale motore della mafia del legno, e alimenta la violenza e le ritorsioni che portano a questi terribili incendi. È responsabilità dei compratori internazionali di legname amazzonico garantire che le loro filiere non siano collegate alla deforestazione illegale. Solo quando il legname illegale smetterà di essere redditizio, la situazione per i popoli indigeni dell’Amazzonia potrà veramente migliorare», conclude Borghi.

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