Secondo una nuova ricerca la maggior parte dei soggetti positive al tampone per il Coronavirus non infetta nessuno. Vediamo insieme quali sono i rischi reali.
Un nuovo studio di tracciamento epidemiologico sul Coronavirus pubblicato su Science, il più ampio mai condotto finora, sfata una serie di falsi miti e credenze sulla pandemia che sta tenendo il mondo col fiato sospeso. A partire dal rapporto tra positività e contagi: la gran parte delle persone positive al tampone, infatti, non infetta nessuno. Può sembrare illogico o controintuitivo, ma tant’è.
La ricerca, condotta negli Stati indiani di Andhra Pradesh e Tamil Nadu, dove i sistemi sanitari dispongono di efficaci sistemi di sorveglianza sviluppati durante l’epidemia di Aids, ha preso in esame oltre mezzo milione di persone sottoposte a tampone. I risultati confermano che la pandemia non si diffonde nella popolazione in modo uniforme ma a grappoli (o cluster). Numeri alla mano, il 70% delle persone risultate positive non ha contagiato nessun altro, e il 60% di tutti i contagi è riconducibile ad appena l’8% degli infetti.
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Il dato che emerge è che l’epidemia di Coronavirus sembra avanzare sotto la spinta di singoli eventi di superdiffusione in cui una persona positiva viene a trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato, finendo per contagiarne molte altre. Gli esperti hanno cercato di tracciare un identikit del superdiffusore (o superspreader) e identificare quali caratteristiche potessero favorire la trasmissione del virus. La biologia sembra giocare un ruolo marginale rispetto al contesto ambientale: sono soprattutto ambienti e comportamenti a rischio a favorire la superdiffusione.
I luoghi/contesti dove tenere alta, anzi altissima la guardia sono ospedali, residenze per anziani, mezzi di trasporto, bar e ristoranti, palestre, impianti di lavorazione della carne, riunioni di lavoro, luoghi di culto, call center, prigioni, navi da crociera ed eventi come matrimoni, funerali o feste private. Le scuole, invece, sembrano essere meno rischiose di quanto si possa temere, ma visto in gran parte del mondo sono state riaperte solo poche settimane fa, è ancora presto per trarre conclusioni. In Giappone le autorità sanitarie raccomandano la regola delle “tre C”: evitare spazi chiusi e poco ventilati (closed spaces), luoghi affollati (crowded spaces) e contatti ravvicinati (close-contact), ferme restando tutte le altre misure di default, a partire dalla mascherina.
EDS