Scopriamo la storia di Luciana Romoli, la donna che da bambina ha aiutato i partigiani a liberare l’Italia dal nazi-fascismo.
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Nata nel 1930 a Roma, Luciana è stata catapultata a soli 8 anni nella realtà della guerra. Presto amici, parenti e semplici vicini di casa sono partiti per un conflitto che non aveva uno scopo né una ragione di esistere. Chi rimaneva era costretto a soffrire di fame e vivere alla giornata. Poi è arrivata l’occupazione nazista e chiunque non lo fosse era impegnato a liberare la città eterna dal nemico.
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In quel periodo la piccola Luciana è diventata una staffetta partigiana. Insieme alla sorella svolgeva compiti importanti per la resistenza, come portare messaggi o consegnare armamenti ai soldati. Quando ne parla la donna lo ricorda come se fosse successo il giorno prima: “L’ambiente in cui vivevo fece sì che anch’io entrassi a far parte della Brigata Garibaldi. Facevo la staffetta. Portavo chiodi a tre punte ai compagni del Flaminio: servivano a bucare le gomme dei blindati tedeschi. Non conoscevo mai il nome di chi me li dava e neppure quello della persona a cui li consegnavo”.
Nel corso di quelle missioni ha vissuto situazioni limite, come quando dovette portare dei volantini ad un giovane partigiano: “Una volta mi dissero che dovevo far avere alcuni volantini ad un ragazzo dell’università. Dovevo indossare un golfino bianco per farmi riconoscere. Incontrai Massimo Gizzio, poi ucciso davanti a me dai fascisti”. La volta in cui rischio maggiormente, però, fu quando gli fu chiesto di portare degli armamenti: “Ero con mia sorella, in bicicletta. I tedeschi ci fermarono sul ponte di Portonaccio e chiesero cosa portavamo. Lei, scherzando, rispose: ‘Bombe a mano’. Mi sentii gelare. Rideva pure lui e ci lasciò passare”.
Anche il giorno della liberazione fu per lei un giorno di dolore e paura, tanto da ricordarlo con un pizzico di amarezza: “Il 4 giugno 1944 lo ricordo eccome! Un giorno di festa, Roma liberata, i tedeschi in fuga. Ma io piangevo. E non di gioia. I soldati del Terzo Reich avevano appena fatto una strage, a La Storta. Avevano trucidato quattordici prigionieri prelevati dal comando della Sipo, la Sicherheitdienst polizei, in via Tasso. Tra loro c’era un cugino di mia madre, Libero De Angelis”.