Conosciamo nel dettaglio la storia di Piero Villaggio, figlio di Paolo, che ha raccontato la sua esperienza unica a San Patrignano
Netflix ha lanciato a partire dal 30 dicembre la nuova docu-serie SanPa: luci e tenebre di San Patrignano, con cinque episodi per raccontare la storia della comunità di recupero di San Patrignano fondata da Vincenzo Muccioli nel 1978, a Coriano, in provincia di Rimini. Anche il figlio di Paolo Villaggio, Piero, è stato in terapia per tre anni e così ha raccontato la sua esperienza ai microfoni di Mowmag: “È molto difficile far capire San Patrignano a uno che non ci è mai stato. La mia idea di quel posto ora non esiste più”. Poi ha aggiunto: “Io ci sono entrato nell’84 uscendovi tre anni dopo, ma tutto era molto diversi soprattutto nei primi anni. Poi ci sono andato sempre meno, ma so che è cambiata moltissimo, in tante cose”. Inoltre, ha svelato le differenze rispetto al passato: “L’aspetto logistico è cambiato tantissimo. Quando andavo io, c’erano polvere d’estate e fango d’inverno. Le strade non esistevano, ora è molto più alla mano. Prima c’era Vincenzo, che si è occupato sempre di tutto con i pro e i contro del caso. Non c’era dialogo: ti doveva stare bene quello. Ho accettato, mi andava bene altrimenti sarei già morto”.
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Successivamente lo stesso figlio di Paolo Villaggio si è soffermato sulla persona di Vincenzo Muccioli, che aveva dato vita a quel movimento in provincia di Rimini: “Era particolare con un grande carisma, ma aveva degli atteggiamenti a volte discutibili. Sono andato lì senza pagare nulla, mai una lira. In tante cliniche non ero riuscito a risolvere niente. L’essere violento forse per me era eccessivo: uno schiaffetto può essere benefico, massacrare una persona di botte forse anche no. Il contesto era molto particolare, è molto difficile da spiegare e capire senza esserci dentro, senza provare ad analizzare i motivi. Successivamente, nel 1983 Vincenzo Muccioli venne condannato per violenze, maltrattamenti e sequestro di persona, ma nel 1987 venne assolto anche dalla Corte d’Appello lo assolse, così come successe con la Cassazione nel 1990.