Fabrizio Corona, atti di cannibalismo: “Uno psicopatico in ospedale psichiatrico”

Dall’ospedale Niguarda di Milano Fabrizio Corona scrive a Massimo Giletti: “Come un cannibale ho morso carne, pelle, sangue ovunque…”. 

Ricoverato nel reparto psichiatrico dell’ospedale Niguarda di Milano in attesa di essere trasferito in carcere, Fabrizio Corona – che pure è piantonato e sorvegliato 24 ore su 24 – si è reso protagonista di un altro gesto di autolesionismo. Oltre a proseguire con lo sciopero della fame e della sete dopo la notizia del provvedimento che ha disposto il suo ritorno in carcere lo scorso 11 marzo, l’ex re dei paparazzi ha raccontato in una missiva (poi letta da Massimo Giletti a Non è l’Arena) il male che si è procurato con le sue stesse mani.

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La tremenda confessione di Fabrizio Corona

“Voglio che Massimo sappia cosa mi è successo ieri, una storia bruttissima – esordisce Fabrizio Corona riferendosi a Giletti -. Ho chiesto di poter andare in bagno a fumare, mi hanno dato un accendino. Sono controllato a vista da tre uomini della polizia penitenziaria. Mi siedo sul water e mi metto a fumare a torso nudo, i pantaloni tirati su. Vedo sul mio braccio destro la ferita del giorno prima, due punti di sutura che mi sono fatto pugnalandomi con una penna”.

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A quel punto nella mente di Corona succede qualcosa. “La guardo, fumo, la riguardo. A quel punto scatta qualcosa nel mio cervello. Provo a scavare nella ferita. Sono da solo in un cesso schifoso, circondato da urla di povera gente disgraziata. Mi avvicino con la bocca alla ferita, a poco a poco spingendo sempre di più riesco ad afferrare i punti del giorno prima con la bocca e con i denti. Li tiro, si rompono”.

Il racconto prosegue con particolari agghiaccianti: “Schizza il sangue ovunque, sulla faccia, sulla bocca, sugli occhi, sulle braccia, sul petto. Sento uno strano sapore, mi piace. È amaro. E continuo, sono convinto che nella ferita ci siano i pezzi di vetro dell’ambulanza rotta. È notte e come un cannibale mordo tutto: pelle, fili di punti, carne, tatuaggi, pezzettini di vetro. Sono incontenibile, non ho più freni”.

Poi qualcuno lo ferma: “Di colpo si apre la porta e cinque infermieri vedono un uomo di 47 anni seduto sul cesso, tutto sporco di sangue che si mangia il suo braccio. C’è chi urla, chi piange, chi mi abbraccia, io sono impassibile, guardo solo il vuoto. Sono uno psicopatico in un ospedale psichiatrico”.

E ancora: “Sono in una stanza singola, vuota. Non c’è tv, non c’è radio. Le finestre sono chiuse e non c’è nessun tipo di vetro. Nulla con cui mi possa ferire. È un reparto con altri 15 pazienti, uno dei migliori del Niguarda. Massimo, io da qui non posso uscire perché sono detenuto. Ho tre persone che mi controllano a vista. C’è però un’enorme finestra da dove entra uno splendido sole. Non mangio da 9 giorni, bevo mezza bottiglia d’acqua e due caffè d’orzo. Lavoro, scrivo, leggo e mi alleno tutti i giorni senza forze, per terra. Determinazione”. E conclude con parole che suonano inquietanti: “Sono pronto a morire per i miei diritti. Nulla, Massimo lo deve sapere, era premeditato”.

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