Ibrahimovic, il dramma del fratello morto a 41 anni: la grave malattia

Dietro la facciata da duro c’è un passato non facile: Ibrahimovic racconta come nel 2014 ha dovuto seppellire il fratello, morto a 41 anni.

Zlatan Ibrahimovic
Zlatan Ibrahimovic il giorno del funerale del fratello.

Visibilmente addolorato e provato: ecco come appare Zlatan Ibrahimovic nel video del funerale del fratello Sapko, circolato online nel 2014. Un momento privato che è stato condiviso con il web (nonostante la famiglia abbia fatto di tutto pur di mantenere la privacy), mostrando un lato vulnerabile che il campione raramente mostra. In seguito, Ibrahimovic parlerà così di quel periodo: “quando mio fratello Sapka è morto, quando se l’è portato via in 14 mesi la leucemia, ho capito che la vita va veloce, devi stare bene, godere, perché non devi avere rimpianti”.

La forza della madre Jurka

“Tutti dicono che sono vecchio perché ho 39 anni. Ma la vecchiaia non mi fa paura. Tutte le volte che ho fatto dei programmi, non è andata come volevo. Sono più per il carpe diem” racconta il calciatore. La morte del fratello, dice, lo ha cambiato: adesso vede in modo diverso la vita. “Ogni giorno è un nuovo giorno, quel che succede succede. Bisogna stare bene in salute innanzitutto e far stare bene tutti quelli che ti sono intorno”.

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Sapko Ibrahimovic è morto a soli 41 anni, dopo aver combattuto a lungo con la leucemia. La sua scomparsa ha lasciato un vuoto nella vita del fratello, che a 4 anni di distanza dirà a Vanity Fair: “chi sarebbe Dio? Io sono il mio Dio. Quando mio fratello è morto, dov’era lui per salvarlo?”.

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In un’intervista a Sportweek Zlatan Ibrahimovic parla anche della madre, Jurka, roccia della famiglia. “Jurka è forte, è la più forte di tutti. Quando non facevo le cose, mi picchiava. Anche adesso mi attacca quando non va bene qualcosa. Lei era da sola con cinque bimbi, faceva le pulizie tutto il giorno in giro per case e quando tornava da noi, era stanca. Noi facevamo casino, io quando ero piccolo ero molto attivo, sempre in movimento. Vivevo da papà, ma andavo lì per mangiare. Ci preparava i maccheroni con il ketchup, roba per poveri. Pane e latte, che ci riempiva la pancia. Aveva un budget piccolo e doveva cucinare per tanti. Mi buttava fuori: mangi troppo. Non con cattiveria, per farmi essere più in relax”.

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