Maurizio Costanzo, l’attentato che l’ha quasi ucciso: chi lo voleva morto

Maurizio Costanzo è stato quasi ucciso in un attentato: chi lo voleva morto e per quale motivo è stato preso di mira il conduttore.

Il 14 maggio del 1993, nel pieno della lotta tra la mafia e lo stato, la violenza della criminalità organizzata si è abbattuta anche su Maurizio Costanzo. Il giornalista e conduttore della Fininvest è stato preso di mira per via della sua amicizia con Giovanni Falcone, spesso ospite delle sue trasmissioni. Ma anche perché, dopo l’attentato ai danni di Libero Grassi, ha organizzato insieme a Michele Santoro una maratona televisiva a reti unificate contro la mafia.

Durante la maratona sono stati utilizzati toni duri di condanna verso l’organizzazione criminale, a cui si è unito il gesto simbolico di bruciare in diretta una maglietta sulla quale si leggeva “Mafia made in Italy“. L’intento palese era quello di condannare l’attività e gli attentati di stampo mafioso, dichiarando al contempo di non aver paura di possibili ritorsioni e che gli italiani uniti avrebbero vinto la battaglia contro quel morbo che paralizzava lo stato da troppo tempo.

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Maurizio Costanzo: l’attentato mafioso che l’ha quasi ucciso

In un simile clima sociale e politico, Maurizio Costanzo era diventato un paladino della legalità e una figura simbolo della lotta alla mafia. Per l’organizzazione criminale, che in quel periodo aveva deciso di dimostrare con la forza di essere “intoccabile“, il conduttore era un pericolo ed era una figura da abbattere per ribadire con la brutalità che non voleva ingerenze nei propri loschi affari. Le armi per l’attentato, una bomba e diverse bocche da fuoco, furono portate a Roma tramite un camion nel 1992. A guidarlo era Giovanbattista Coniglio (mafioso di Mazara del Vallo). Le armi, nascoste in un’intercapedine, vennero poi occultate nello scantinato di Antonio Scarano.

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L’obbiettivo nel 1992 era Falcone, ma quando i sicari si resero conto che non potevano raggiungerlo, decisero di virare su Costanzo. Il conduttore venne seguito per diverse sere e tutto era pronto, ma Riina sospese l’attentato perché c’erano cose più importanti di cui occuparsi. L’omicidio di Costanzo, però, era solo rinviato, visto che nel 1993 i sicari salirono nuovamente a Roma per completare il loro piano. Ad ospitarli fu nuovamente Scarano, il quale li guidò nei sopralluoghi ai Parioli e gli procurò una Fiat Uno nella quale installare l’ordigno.

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Una volta studiate le routine del conduttore, il 14 maggio del 1993 i sicari passarono all’azione. Costanzo si è salvato solamente perché l’esecutore (Benigno) è rimasto sorpreso: lo attendeva a bordo di un Alfa 164 blindata, mentre invece passò per via Fauro a bordo di una Mercedes guidata dall’autista Stefano Degni. L’attentatore, dunque, schiacciò il pulsante in ritardo e questo permise a tutti di sopravvivere all’esplosione. Nessuno dei presenti in zona morì a causa dell’ordigno, ma furono ben 24 i feriti.

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