Coronavirus, la verità in un nuovo studio: “In Lombardia due ceppi diversi”

Secondo una ricerca curata dal San Matteo di Pavia e dal Niguarda di Milano, in Lombardia coesistono due ceppi diversi del Coronavirus.

Influenza suina Cina

“Grazie a uno studio che abbiamo condotto con il Niguarda di Milano abbiamo scoperto che ci sono stati due diversi ceppi del virus in Lombardia”. Ad annunciare l’importante novità è il professor Fausto Baldanti, direttore del reparto di Virologia del San Matteo di Pavia. “Quello circolato nella zona di Bergamo è diverso da quello che si è diffuso tra Cremona e Lodi – spiega l’esperto -. Sono differenti per sequenza genetica e caratteristiche e hanno provocato due diversi focolai”.

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Un altro tassello nell’identikit del Coronavirus

Il virologo pavese ha inoltre precisato che il Coronavirus “secondo i nostri studi circolava nella zona rossa di Codogno già dalla metà di gennaio: dagli esami effettuati, abbiamo scoperto anticorpi che risalivano a quell’epoca. L’immunità di gregge comunque è ancora lontana dall’essere raggiunta. Sempre dai controlli effettuati è emerso che nella zona rossa di Codogno solo il 23% della popolazione ha incontrato il virus. Da questo dato capiamo quanto sia importante rispettare le regole di prevenzione, dalla mascherina al distanziamento sociale”.

Il prof. Raffaele Bruno, primario di Malattie Infettive, ha invece sottolineato che “il San Matteo ha avuto il merito di reggere l’urto della pandemia, anche nella fase più acuta, grazie allo straordinario impegno di tutto il personale, con una menzione particolare per gli infermieri. Al Policlinico ci siamo resi conto che il protocollo seguito a Wuhan da noi non funzionava: abbiamo seguito altre terapie antivirali, puntando molto sulle terapie antivirali”.

Infine il prof. Cesare Perotti, primario del Servizio di Immunoematologia e Trasfusione, ha tracciato un bilancio della plasmaterapia: “Abbiamo raccolto 329 donazioni, con donatori giunti anche dal Trentino. Una manifestazione di grande generosità, che ci consente ora di avere a disposizione un numero di sacche di plasma da utilizzare in caso di un’eventuale seconda ondata in autunno. Il ricorso al plasma iperimmune ha ridotto la mortalità dal 15% al 6%”.

“A riconoscere il nostro lavoro – ha aggiunto Perotti – è stata anche la Commissione Europea, che ci ha assegnato l’incarico di scrivere le linee guida per tutta Europa per la terapia con il plasma donato da pazienti convalescenti. Il rammarico è che in Italia solo i colleghi dell’ospedale di Mantova hanno deciso di adottare il nostro protocollo: abbiamo calcolato che se l’identica scelta fosse stata adottata in tutta Italia, probabilmente sarebbe stato possibile salvare oltre 3mila pazienti che purtroppo sono morti”.

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