Bimba sviluppa la sindrome Kawasaki dopo il Covid: “Ecco come l’abbiamo salvata”

I medici del Salesi spiegano come hanno salvato una bimba che ha sviluppato la sindrome di Kawasaki dopo aver preso il Coronavirus.

Nei giorni scorsi i pediatri dell’ospedale Giovanni XXIII di Bergamo hanno lanciato l’allarme riguardante la possibilità che i bambini affetti da Covid-19 possano sviluppare la Sindrome Kawasaki. Non ci sono evidenze che ci sia un legame tra le due patologie, ma in questo periodo è stato osservato un aumento dei casi riguardanti lo sviluppo della malattia autoimmune. Uno di questi è stato trattato con successo all’ospedale Salesi di Ancona.

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A parlare del caso con la stampa è stato il direttore del reparto di Anestesia e Rianimazione pediatrica Alessandro Simonini. Il medico ci ha tenuto a precisare che al momento le condizioni della piccola, una bimba di 10 anni, sono migliorate: “La bambina sta molto meglio è ricoverata in Pediatria, è arrivata con una situazione cardiologica complessa, dopo la febbre molto alta per 5 giorni e una serie di sintomatologie. Abbiamo dovuto intubarla e sottoporla a ventilazione meccanica”.

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Bimba guarisce dal Coronavirus e dalla Sindrome di Kawasaki

Simonini spiega che la bimba era affetta dal coronavirus come la madre, ma che la positività si è scoperta solamente dopo un test sierologico. I due tamponi fatti precedentemente, infatti, erano risultati entrambi negativi. Per quanto riguarda poi lo sviluppo della sindrome Kawasaki aggiunge: “L’eziologia è sconosciuta, quasi sempre l’origine di questa malattia autoimmune è infettiva: si manifesta tardivamente, dà congiuntivite, febbre molto alta, secchezza delle labbra, lingua rossa, manifestazioni cutanee e problemi gastrointestinali. Nella fase sub-acuta può interessare il cuore e provocare miocardite”.

Quando gli viene chiesto se il caso in specie sia la dimostrazione che il Covid-19 nei bimbi può portare allo sviluppo di altre patologie, Simonini risponde: “Nei piccoli pazienti  il Covid sembra non determinare la condizione dell’adulto, ma non è meno pericoloso: quando ci arriva un bambino positivo, scaviamo a fondo”.

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