Saluta i figli in videochiamata e muore: la lettera straziante di chi l’ha assistita

Saluta i quattro figli in videochiamata e muore, sola. L’infermiera che l’ha assistita negli ultimi momenti di vita ha scritto una lettera straziante.

Il sindaco di Volvera, provincia di Torino, ha raccontato su Facebook una delle storie più commoventi tra tutte quelle nate dalla pandemia Coronavirus. L’uomo ha riportato integralmente la testimonianza di una sua concittadina, un’infermiera che assiste quotidianamente pazienti malati di Covid-19. La donna ha deciso di condividere la storia di una di loro, che prima di morire ha chiesto di poter vedere i suoi quattro figli. “Siamo un paese che sa solo lamentarsi per qualsiasi cosa, mai contenti di nulla. Sembra che la quarantena sia un castigo anziché una protezione per ognuno di noi” scrive l’infermiera all’inizio di una lunga lettera, indirizzata al Sindaco: “Se lo riterrà opportuno, potrà condividere le mie parole per sensibilizzare”. Ciò che l’infermiera voleva fare, scrivendo quella lettera, era proprio far riflettere le persone costrette a rimanere a casa, in salute, a tutti coloro che in ospedale stanno soffrendo.

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Saluta i figli in videochiamata e muore, un’infermiera di Volvera ha raccontato tutto in una lettera straziante

La lettera dell’infermiera inizia così: “Marzo non è stato affatto clemente: turni di 12 ore, ferie annullate, riposi ma cosa sono i riposi? Arrivi in ospedale, qualche figura nei corridoi, ma ancora troppa gente in giro. Arrivi al reparto critico, quello dove sono ricoverati i pazienti positivi. Tutto blindato, suoni. Ti apre la collega che è li da ieri sera. Stremata, viso segnato dalla mascherina e gli occhiali, prendi consegna e la congedi. Deve riposare. Suona un campanello. Ti sporgi alla camera interessata, chiedi il motivo della chiamata, rassicuri che presto entrerai, e vai a vestirti. La vestizione è lunga, ci si deve bardare molto bene e non si possono commettere errori di trascuratezza”. Poi continua: “Entri dalla paziente, la conosci e la saluti. Ha un casco sulla testa, si chiama C-pap. Serve per respirare meglio, non ha molte speranze e il monitor al quale è collegata ne dà conferma, ma la paziente è cosciente, lucida e orientata nel tempo e nello spazio, ma soprattutto sa che sta per morire. Lo sa, lo percepisce e lo sente. Parli un po’ con lei. Non mangia da giorni. Questa mattina chiede la colazione. Ha un diabete non controllato e vuole due fette biscottate con la marmellata. Sarà certo il diabete il suo peggior nemico ora? E riferisci alla collega di passarteli. Quello sguardo implorante ti uccide. Distogli ogni tanto gli occhi da lei per non morire dentro”. La donna racconta poi della conversazione, straziante e commovente, avuta con la paziente: “Mentre le sistemi i cavi dei parametri vitali, lei ti prende la mano…”Amore, sei mamma?”. “Si, di due ragazzi”. “Allora puoi capire cosa sto provando?”. “Posso provare, ma se vuoi, puoi descrivermelo… ti ascolto”. “Ho quattro figli e sono sempre stati tanto mammoni. Un rapporto bellissimo, anche perché gli ho fatto da madre e da padre, visto che sono rimasta vedova da giovane. Non ho paura di morire, non vorrei solo soffrire, ma un giorno, uno dei miei figli è venuto a trovarmi e non lo hanno più fatto entrare.. è stato obbligato, non una scelta. Non ho potuto vedere più i nipoti, le nuore, nessuno. Io qui, loro a casa. Non ho potuto dir loro quanto bene gli voglio”. “Ma chiamali al telefono e diglielo”. L’infermiera racconta che la donna è anziana, e non ha nessuna dimestichezza con la tecnologia. L’infermiera ha dunque avuto un’idea per poter provare a realizzare l’ultimo desiderio della sua paziente: riunire tutti i quattro figli, consigliando loro di indossare una mascherina, e chiamarli con il suo cellulare il più presto possibile. “Apri la video-chiamata e tutti e quattro i figli lì. La paziente non se lo aspettava ed è felice come una Pasqua e tu con lei. Si parlano un bel po’,  si raccontano, si dicono ti amo e lei desatura spesso perché si sta affaticando, ma sai il destino nefasto, non te la senti di chiedere di chiudere. Già una volta sono stati obbligati a tagliare, ora vuoi che la decisione sia la loro. La chiamata dura circa mezz’ora ed è come se un cerchio si fosse chiuso, quello che doveva essere è stato… lei aveva resistito solo per loro, per vederli, per salutarli. Hai il cuore in mille pezzi. Pensi a te e ai tuoi figli e comprendi tutto… ogni sua preoccupazione. Ti prende la mano, ti dice grazie, veglierò su di te, per quello che hai fatto. E fai fatica a non piangere. La paziente si spegne. Decidi di uscire e lasciare ai colleghi il resto. E vedi che, come le procedure prevedono, la cospargono di disinfettante, la avvolgono in un lenzuolo e la portano in camera mortuaria. Sola… sola… i suoi effetti personali messi in triplice sacco nero andranno inceneriti. È domenica mattina. L’agenzia di pompe funebri è venuta a prendere la salma. Uno solo dei figli presente, a debita distanza. Non l’ha più vista da quella video chiamata. Dà indicazioni all’incaricato e vanno via… la sua macchina svolta a destra, la salma va a sinistra… sola. Non ce la fai, quello è troppo. E se fino ad ora non avevi pianto, ora non ce la fai”. La lettera si conclude con un disperato appello a tutte quelle persone che ancora non comprendono le conseguenze di questa pandemia, e infrangono la quarantena per motivi inutili: “A casa apro Facebook. Lamentele ovunque. Vi hanno negato la libertà, il bimbo non può andare più al parco, il cane passeggia troppo in là da casa e non si trova più lievito. Quanta ignoranza, quanti pochi problemi ha la gente, ma su una cosa ancora siamo fortunati: a noi ci saranno state anche negate delle cose, dovremmo anche fare sacrifici, ma almeno noi abbiamo ancora la dignità, un diritto che il Covid-19 ti toglie, senza poterti lamentare. Un diario dalla prima linea, quella umana, del cuore”.

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