Kevin, la drammatica morte del padre: “Per 10 giorni non ci hanno ascoltato”

Kevin racconta a ‘Le Iene.it’ come per 10 giorni le sue richieste di aiuto siano rimaste inascoltate e come il padre sia morto a causa del Coronavirus.

Il racconto di Kevin Attarantato, ragazzo di Pesaro, è straziante. Raggiunto da ‘Le Iene‘, il giovane ha infatti parlato delle 3 settimane di agonia vissute dal padre prima di cedere al Coronavirus. Tutto è cominciato il 28 febbraio, quando l’uomo è tornato a casa da lavoro con la febbre. Giancarlo, 55 anni, era un uomo in perfetta salute, senza patologie pregresse, ma nonostante questo è stato ucciso dal Covid-19.

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Sin dai primi giorni lui ed il resto della famiglia si sono preoccupati per quella febbre che non voleva saperne di scendere: “Aveva la febbre che continuava ad aumentare. Ci siamo spaventati – spiega Kevin – Abbiamo provato a chiamare il 112 per chiedere un tampone. Da lì ci hanno rimandato al 1500: dopo ore di tentativi mi hanno ribadito di stare a casa e lavare le mani. Nulla di più: la febbre ha raggiunto 39, mio papà non aveva patologie pregresse. Era la persona più sana del mondo”.

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Kevin esprime tutta la sua rabbia: “Per dieci giorni non ci hanno ascoltato”

Sia il medico curante che gli operatori del 118 hanno ritenuto che Giancarlo non avesse nulla di grave. Prima gli è stata data della Tachipirina ed in un secondo momento degli antibiotici, ma le condizioni di salute dell’uomo continuavano a peggiorare: “C’è stato un rimpallo tra 118 e medico curante, e intanto mio papà stava sempre peggio. Alla fine l’ho accompagnato in auto con tutte le precauzioni del caso. Abbiamo mandato la lastra al medico di base, ma per lui non era nulla di grave. Gli ha prescritto antibiotici a base di cortisone. Ha iniziato questa cura da subito, ma continuava a sentirsi sempre peggio”.

Il giorno successivo la febbre è salita a 40°, l’uomo non riusciva nemmeno a parlare ed aveva cominciato ad avere una forte tosse. Kevin a quel punto ha chiamato nuovamente il 118 e questa volta il padre è stato ricoverato all’ospedale di Urbino. Lì sono cominciate le crisi respiratorie ed è stato necessario il trasferimento all’ospedale di Jesi per l’intubazione. Una settimana dopo il ricovero, il 19 marzo, il medici contattano Kevin per dirgli che il padre non avrebbe superato la notte: “Quel giorno avevo chiesto ai medici di avvicinare il telefono al suo orecchio per fargli gli auguri. Sapevo che non mi avrebbe potuto sentire perché sedato, ma non mi hanno dato neppure questa soddisfazione”.

Kevin è arrabbiato perché ritiene che le richieste d’aiuto potessero essere ascoltate prima: “Per 10 giorni non ci hanno ascoltato, e mio papà è morto poi per il coronavirus”. Quindi conclude dicendo: “Non è come ci dicono. Se questo virus ti prende, ti può portare via. E se intervengono tardi, non c’è scampo. Voglio dire alle persone di stare a casa e se vedono un susseguirsi di patologie non aspettate a chiamare aiuto”.

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