Padre di famiglia massacrato di botte, aggressori liberi: la disperazione della moglie

Un gruppo di ultras che ad aprile 2015 ha massacrato di botte un padre di famiglia, fino a lasciarlo invalido, è stata rilasciata dopo aver scontato solo metà della pena imposta.

Una banda di dodici ultras, tifosi di calcio, che ad aprile 2015 ha picchiato un padre di famiglia fino a lasciarlo incapace di parlare e camminare a vita, è stata rilasciata dal carcere dopo aver scontato solo metà della pena imposta. La vittima, un tifoso del Cambridge United di nome Simon Dobbin, 47 anni, ha subito danni cerebrali permanenti dopo che la sua testa è stata calpestata per più di un minuto di seguito dagli ultras. La Basildon Crown Court aveva condannato gli uomini a marzo 2015, poco dopo l’accaduto, ma la moglie di Simon, Nicole, oggi ha rivelato che tutti i “mostri” sono già tornati in strada. Simon stava camminando verso la stazione di Prittlewell a Southend, dopo aver visto la sua squadra giocare contro il Southend United il 21 marzo 2015, quando è stato attaccato dalla banda. Gli ultras hanno individuato il gruppo di tifosi del Cambridge di cui Simon faceva parte, e hanno lanciato l’attacco. Uno degli aggressori aveva un adesivo attaccato al suo telefono che recitava: “Congratulazioni. Hai appena conosciuto la CS Crew del Southend United. Prima ti prendiamo la vita, poi tua moglie”.
Tre dei dodici uomini colpevoli sono stati incarcerati per cinque anni, accusati di disturbo violento. Uno di questi, Ryan Carter, è stato l’ultimo della banda ad essere rilasciato all’inizio di questo mese.

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Padre di famiglia massacrato di botte per un minuto intero, la disperazione della moglie

“Sembra uno schiaffo”, racconta Nicole. “Ogni volta che guardo Simon vedo i danni che gli hanno causato. Sono dei mostri. Non hanno dato alcuna considerazione a quello che stavano facendo. Non si sono preoccupati dell’impatto che avrebbe avuto sulla vita di qualcun altro (…) Hanno scontato solo metà della loro pena, ma noi andremo avanti per tutto il tempo che Simon vivrà. Non migliorerà all’improvviso, non camminerà e non parlerà più. E’ così ingiusto. A causa delle sue orribili ferite Simon non potrà mai più abbracciare me e sua figlia Emily, né dirci che ci ama (…) Mi aggrappo agli ultimi ricordi dei momenti con lui. Ho una registrazione sul telefono, è solo lui che dice “Ciao. Ci sei? Pronto?”. L’ho conservata per tutti questi anni, per cinque anni, perché sento la sua voce. Quando ho scoperto che ce l’avevo ancora ho pensato “Oh mio Dio, almeno sento la sua voce”. La ascolto sempre, e ogni volta che la ascolto penso solo che vorrei poter sentire la sua voce per davvero. Vorrei poter avere una conversazione con lui. Sono piccole cose che si danno per scontate”. Mentre si avvicina il quinto anniversario dell’attentato, Nicole, oggi 48enne, ha rivelato che sta ancora aspettando il risarcimento per le sue lesioni personali, mentre lotta per prendersi cura di Simon con i sussidi insufficienti: “Saranno cinque anni ad aprile, ho fatto una richiesta di risarcimento e stiamo ancora aspettando. Sia io che Simon abbiamo lavorato a tempo pieno, avevamo un buon lavoro, avevamo un buon reddito. I benefici sono molto scarsi rispetto a quanto guadagnavamo, quindi abbiamo dovuto adattare il nostro stile di vita. Voglio solo poter tenere Simon a casa e dargli le migliori cure possibili”. Nicole, devastata, ha raccontato anche: “Durante il processo è venuto fuori che Simon è stato ripetutamente calpestato per novanta secondi. E la visione che ho in testa è quella di Simon che giace sull’erba e che viene ripetutamente calpestato. Non è una cosa che puoi toglierti dalla testa”.

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