Giorgio Perlasca, chi era l’eroe che salvò la vita a migliaia di ebrei

Giorgio Perlasca è stato un funzionario, filantropo e commerciante italiano che nel corso della seconda guerra mondiale, fingendosi Console spagnolo, salvò la vita di oltre 5mila ebrei dalla Shoah. 

Giorgio Perlasca è uno di quegli Italiani con la “I” maiuscola di cui tutti noi dovremmo andar fieri, esempio luminoso di coraggio, nobiltà d’animo e umiltà. Nell’inverno del 1944, durante la seconda guerra mondiale, il funzionario, filantropo e commerciante si finse Console generale spagnolo e in tal modo salvò la vita di oltre cinquemila ebrei ungheresi, strappandoli alla deportazione nazista e alla Shoah. Ripercorriamo insieme la sua storia.

Leggi anche –> Natura | Israele: piantata una foresta per l’eroe italiano Perlasca 

Se vuoi seguire tutte le nostre notizie in tempo reale CLICCA QUI

La straordinaria storia di Giorgio Perlasca

Giorgio Perlasca nacque a Como, 31 gennaio 1910, figlio di Teresa Sartorelli e di Carlo Perlasca. Quando era ancora bambino il padre, per motivi di lavoro, trasferì la famiglia a Maserà, in provincia di Padova. In gioventù Giorgio aderì al Partito Nazionale Fascista e nel 1930 si arruolò nelle Camicie nere. Prese parte come volontario nel 1936 alla guerra d’Etiopia e nel 1937 alla guerra civile di Spagna, dove rimase come artigliere fino al termine del conflitto, nel maggio 1939, apprendendo la lingua e la cultura spagnole.

Dopo il rientro in Italia Giorgio Perlasca iniziò ad allontanarsi dal fascismo, soprattutto in dissenso dalla promulgazione delle leggi razziali e dall’alleanza con la Germania. Iniziò quindi a lavorare come commerciante prima in Croazia, Serbia e Romania e, dal 1942, in Ungheria a Budapest, per conto di una ditta di Trieste, la SAIB (Società Anonima Importazione Bovini), con permesso diplomatico.

L’8 settembre 1943, giorno dell’armistizio tra l’Italia e gli Alleati, Giorgio Perlasca si trovava ancora nella capitale ungherese e, prestando fedeltà al giuramento fatto al Regno d’Italia, rifiutò di aderire alla Repubblica Sociale Italiana di Mussolini. Per tale motivo si trovò a essere ricercato dai tedeschi. Arrestato e internato, fuggì e cercò rifugio presso l’ambasciata spagnola.

La banalità del bene

Grazie a un documento che portava con sé attestante la partecipazione alla guerra civile spagnola, Giorgio Perlasca ottenne dall’ambasciata una cittadinanza fittizia e un passaporto spagnoli, intitolati all’inesistente “Jorge Perlasca”. Tra le altre mansioni, fu impegnato con l’ambasciatore Ángel Sanz Briz nel tentativo di salvare gli ebrei di Budapest, ospitati in apposite “case protette” soggette all’extraterritorialità per la copertura diplomatica, dietro il rilascio di salvacondotti gratuiti.

Nel novembre 1944 Sanz Briz decise di lasciare Budapest e l’Ungheria per non riconoscere il governo filonazista ungherese, ma Perlasca decise di restare e spacciarsi, all’insaputa dello stesso e della Spagna, come suo sostituto, redigendo di suo pugno la nomina a diplomatico, con timbri e carta intestata. A partire da quel momento si trovò a gestire il “traffico” e la sopravvivenza di migliaia di ebrei, nascosti nell’ambasciata e nelle case protette sparse per la città. Tra il 1º dicembre 1944 e il 16 gennaio 1945 rilasciò migliaia di finti salvacondotti che conferivano la cittadinanza spagnola agli ebrei, e arrivò a strappare letteralmente alle Croci Frecciate i deportati sui binari delle stazioni ferroviarie.

Giorgio Perlasca sventò anche l’incendio e lo sterminio nel ghetto di Budapest con 60.000 ebrei ungheresi, intimando direttamente al ministro degli interni ungherese Gábor Vajna una fittizia ritorsione legale ed economica spagnola sui “circa 3000 cittadini ungheresi” (in realtà erano poche decine) da lui dichiarati come residenti in Spagna, e assicurando che avrebbe fatto pressione per avere lo stesso trattamento da parte di altri due governi latinoamericani. Perlasca curò anche personalmente l’organizzazione e l’approvvigionamento dei viveri, utilizzando gli scarsi fondi dell’ambasciata e poi i propri, quindi studiando e applicando un sistema equo di autotassazione sui rifugiati, basato sugli averi di ciascuno. Grazie alla sua opera circa 8.000 ebrei furono direttamente salvati dalla deportazione.

Dopo l’entrata a Budapest dell’Armata Rossa, Perlasca dovette abbandonare il suo ruolo di diplomatico spagnolo, in quanto filo-fascista e, dunque, ricercato dai sovietici. Nell’agosto 1945 riuscì a tornare in Italia, quindi redasse e inviò un primo promemoria per evitare eventuali imputazioni dal governo spagnolo, e poi un memoriale in tre copie sulle attività svolte, che consegnò all’ambasciata spagnola e al governo italiano, tenendo una copia per sé. Scrisse anche all’ambasciatore che aveva sostituito, Sanz Briz, che si limitò ad avvertirlo di aspettarsi alcun riconoscimento per quanto fatto. Scrisse anche ad Alcide De Gasperi che non gli rispose.

La storia di Perlasca rimase avvolta nel silenzio fino al 1961, quando – era il 12 giugno – sul Resto del Carlino apparve un primo articolo di Giuseppe Cerato che ne raccontava la vicenda. Alla fine degli anni 1960 anche la Stampa pubblicò un servizio su di lui a firma di Furio Colombo, ma non ebbe risonanza. La sua famiglia seppe del memoriale da lui redatto solo dopo l’ictus di cui fu vittima nel 1980, quando decise di avvertire i parenti dell’esistenza dello scritto qualora fosse deceduto, per poi però continuare a tenerlo segreto una volta ripresosi. L’opera di Perlasca divenne pubblica solo nel 1987, quando alcune donne ebree ungheresi residenti in Israele riuscirono finalmente a rintracciarlo (molti lo credevano un cittadino spagnolo di nome Jorge, vista l’identità che aveva assunto) e raccontarono quanto di straordinario aveva fatto.

A partire da quel momento Perlasca cominciò a ricevere numerose medaglie e riconoscimenti. Il 23 settembre 1989 fu insignito da Israele del riconoscimento di Giusto tra le Nazioni. Al museo Yad Vashem di Gerusalemme è stato piantato un albero a lui intitolato. Anche a Budapest, nel cortile della Sinagoga, il suo nome appare in una lapide con l’elenco dei giusti. La vicenda acquisì notorietà anche in patria soprattutto grazie ai giornalisti Enrico Deaglio (che scrisse su di lui La banalità del bene) e a Giovanni Minoli, che realizzò un’inchiesta su di lui nella trasmissione televisiva Mixer. Nell’ottobre 1991 il governo italiano lo insignì dell’onorificenza di Grande Ufficiale, e nel dicembre 1991 il Senato approvò un vitalizio annuo a suo favore, che lui però rifiutò. Giorgio Perlasca morì poco dopo, nell’agosto 1992, per un attacco di cuore. Riposa a Maserà di Padova.

In Israele gli è stata dedicata una foresta dove sono stati piantati 10.000 alberi, a simboleggiare le vite degli ebrei da lui salvati. E in Italia, su iniziativa del figlio Franco, è stata istituita la Fondazione Giorgio Perlasca. Molte sono scuole e le vie a lui dedicate. Nel 1997 è stato inoltre pubblicato dal Mulino il suo memoriale, intitolato L’impostore. La Rai, infine, il 28 e 29 gennaio 2002, in occasione del Giorno della Memoria, ha mandato in onda il film TV Perlasca. Un eroe italiano, con Luca Zingaretti nei panni del protagonista.

Leggi anche –> Liliana Segre, la voce della memoria del massacro della Shoah

EDS

 

Impostazioni privacy