Caso Martina Rossi, non fu suicidio: stava fuggendo da un’aggressione sessuale

Il caso di Martina Rossi non si trattò di suicidio, bensì di fuga da un’aggressione sessuale: ecco tutta la vicenda di ciò che successe a Palma de Maiorca

Martina Rossi
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Martina Rossi non ce l’ha fatta all’alba del 3 agosto 2011 nell’hotel Santa Ana di Palma Maiorca. Ma cosa accadde quella notte? Non fu suicidio come stabilirono velocemente le autorità spagnole. Il caso fu riaperto su indicazione degli stessi genitori con le indagini della polizia di Genova. All’epoca delle tragedia la ragazza aveva 20 anni e si trovava in vacanza con le sue amiche. E così il giudice Angela Avila spiegò perché il tribunale di Arezzo lo scorso 12 dicembre aveva condannato a sei anni i due ragazzi di Castiglion Fibocchi, Albertoni e Vanneschi, per violenza sessuale e morte come conseguenza di altro reato: “Martina Rossi non si è tolta volontariamente i pantaloncini che indossava. Qualcuno deve averle tolto i pantaloncini, contro la sua volontà, manifestata apertamente, quindi con violenza. Nella camera c’erano soltanto Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi. La ragazza, dopo essersi opposta alla violenza, graffiando il collo dell’imputato Albertoni, era riuscita a fuggire dai due aggressori dirigendosi verso il balcone aperto della camera e poi, oltrepassando il muretto divisorio verso il terrazzino della camera a destra, nello sporgersi dalla ringhiera o nello scavalcarla, era così caduta nel vuoto”.

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Caso Martina Rossi, la testimonianza dell’inserviente

Non fu ritenuta chiave per l’indagine quello che aveva dichiarato linserviente dell’hotel Francisca Puga, ritenuta una testimone chiave della difesa e sentita tre volte in Spagna visto che per lui si trattata di suicidio. Il tribunale, invece, svelò che “era a distanza, in posizione laterale, con una angolo visuale ridotto e la prospettiva falsata”.

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