Carlo Calenda si dimette dal PD, l’annuncio via social dell’ex ministro

Carlo Calenda si dimette dal PD, l’annuncio via social dell’ex ministro: “Il Partito Democratico ha preso la sua decisione. Ho ritenuto di fare chiarezza prima dell’incontro fra Nicola Zingaretti e il Presidente della Repubblica, rassegnando le mie dimissioni”

Ecco il suo messaggio pubblicato poco fa su Facebook:

Ecco il testo completo della lettera di Carlo Calenda

Caro Nicola, Caro Paolo,

vi prego di voler accettare le mie dimissioni dalla Direzione Nazionale del Partito Democratico.

È una decisione difficile e sofferta. Nell’ultimo anno e mezzo ho sentito profondamente l’appartenenza a un partito che, per quanto diviso e disorganizzato, consideravo l’ultimo baluardo del riformismo in Italia. Per questo mi sono iscritto al PD all’indomani della sconfitta più pesante mai subita dal centrosinistra.

In questi mesi ho cercato di dare in tutti i modi un contributo di idee e di iniziativa politica. Insieme ci siamo battuti alle elezioni di maggio con coraggio e coesione, raggiungendo un risultato non scontato. È stata un’esperienza entusiasmante. Ho scoperto la tenacia di una comunità di elettori e militanti pronta a combattere per lo Stato di diritto e per la permanenza dell’Italia tra i grandi paesi europei; nonostante tutto e spesso nonostante il partito.

Dal giorno della mia iscrizione ho chiarito che non sarei rimasto nel partito in caso di un accordo con il M5S. La ragione è semplice: penso che in democrazia si possano, e talvolta si debbano, fare accordi con chi ha idee diverse, ma mai con chi ha valori opposti. Questo è il caso del M5S. Le ragioni le abbiamo spiegate ai nostri elettori talmente tante volte che non vale la pena ripeterle qui.

Non saranno 5 o 10 punti generici a far mutare natura a chi è nato per smantellare la democrazia rappresentativa cavalcando le peggiori pulsioni antipolitiche e cialtronesche di questo Paese. Sapete bene che nulla abbiamo in comune con Grillo, Casaleggio e Di Maio. Ed è significativo il fatto che il negoziato non abbia neanche sfiorato i punti più controversi: dall’ILVA alla TAV, da Alitalia ai navigator. Un programma nato su omissioni di comodo non è un programma, è una scusa. Eviterò di commentare la decisione di cedere al diktat del M5S su Conte. In fondo esiste una perversa coerenza nella scelta di questo nome per guidare un Governo nato dal trasformismo. Nelle ultime ore siamo arrivati persino ad accettare un giudizio sull’accordo di Governo da una piattaforma digitale privata che abbiamo sempre giustamente considerato eversiva e antidemocratica.

Nell’ultimo anno sono stato molte volte in disaccordo con le decisioni del Partito, ma ho sempre rispettato il volere della maggioranza. Questo caso è differente. Stringendo l’alleanza con il M5S, il PD rinuncia a combattere per le sue idee e i suoi valori. E questo non posso accettarlo.

Fino a qualche giorno fa ero solo uno dei tanti a pensarla in questo modo. Dirigenti, parlamentari, leader passati e presenti, hanno reiterato per molto tempo la stessa promessa: senza di me, mai con i 5S! Fino a trenta giorni fa, quando la crisi del Governo Conte era già manifesta. Nella direzione del 26 luglio abbiamo votato all’unanimità la relazione del Segretario che indicava chiaramente nelle elezioni l’unico percorso da seguire in caso di caduta dell’esecutivo. Cito le tue parole Nicola: “confermo che nel caso si arrivasse a una crisi di governo la nostra posizione era, è e sarà sempre la stessa: di fronte a una crisi di queste proporzioni la via maestra sono le elezioni anticipate, non esiste alcuna ipotesi di alleanza con i 5S”.

Persino nel Paese delle amnesie di comodo e del trasformismo fa impressione pensare che quella decisione della direzione sia stata archiviata, poche ore dopo l’apertura informale della crisi di Governo, con un’intervista che ha poi determinato una precipitosa inversione di rotta di tutta la nostra leadership. Come può un partito privo di coerenza, processi decisionali effettivi e rispetto per le determinazioni assunte dai propri organi dirsi davvero tale?

Il PD può trovare una momentanea unità sulla base di una convergenza di interessi individuali, ma continua a essere più interessato ai regolamenti di conti che a combattere contro i suoi avversari. Per questo non si riesce a far stare seduti nella stessa stanza i leader delle varie correnti.

Mi domando come possiate pensare di affrontare un Governo con i 5S, in un momento così difficile per tutto l’Occidente, con un partito già sostanzialmente in pezzi e pronto a esplodere in ogni istante al manifestarsi di convenienze personali.

E del resto veleni, accuse, veline e tentativi di delegittimazione non sono mancati anche durante la delicatissima trattativa per la formazione del Governo. Il combinato disposto della debolezza del PD e delle profonde differenze con i 5S non porterà nulla di buono all’Italia e al partito.

Ma non è solo per ragione di coerenza o di serietà che avremmo dovuto scegliere la strada delle elezioni. Dare vita in questo modo a un Governo con Grillo e Casaleggio vuol dire rinunciare a fare politica. I progressisti vengono sconfitti in tutto il mondo perché negli ultimi trent’anni non hanno visto il prodursi di una frattura profondissima tra progresso e società. Il nostro futuro dipende dalla capacità di capire cosa è accaduto e proporre una visione e un progetto adatto ai tempi. Da qui non si scappa e non si può scappare.

Rifugiarsi in un confortevole quanto generico antifascismo per nascondere la mancanza di pensiero, la spinta all’autopreservazione e la paura di perdere, è una scorciatoia che non servirà a battere la destra. Al contrario, ne accrescerà la forza.

Senza dubbio l’apertura ai 5S ha spiazzato Salvini, costringendolo ad una precipitosa ritirata. Ma è stata solo una “vittoria di Pirro” ottenuta ad un prezzo esorbitante. Abbiamo rimesso al centro della scena il M5S – che infatti sta già ricrescendo nei sondaggi – e confermato nei cittadini l’idea che siamo pronti a tutto pur di ritornare al Governo.

C’è un errore profondo che la diffusa soddisfazione, anche di una parte della nostra base, per questo accordo nasconde. È il pensiero che il nemico da battere sia sempre una persona. Un errore già commesso con Berlusconi. Salvini è un contenitore vuoto che si riempie delle paure e delle inquietudini degli italiani. Finché non ci occuperemo del contenuto non torneremo a vincere. E quella che abbiamo intrapreso non è la strada giusta.

Chi governa viene punito anche se governa bene, lo sappiamo per esperienza recente. Come potete sperare che un esecutivo con i 5S non produrrà un’ulteriore perdita di consenso?

Spero di sbagliare, per il bene del paese e del Partito, e nel caso sarò felice di ammetterlo. Sarà certamente un sollievo per me e per tanti nostri elettori vedere colleghi di partito e dei Governi passati prendere il posto dei ministri leghisti. Un sollievo momentaneo purtroppo. Il punto politico

rimarrà: in che modo una comunità avvelenata dalla convinzione di non poter vincere, in primo luogo proprio dai leader che dovrebbero guidarla e motivarla, potrà ritrovare la strada per la vittoria? Il confronto con i sovranisti è appena alle prime battute, lo stiamo iniziando con una fuga disordinata e disonorevole.

Si fa poi nuovamente largo nella “classe dirigente” di questo paese – deep state, sindacati, associazioni industriali, etc – l’idea che si debbano preservare i cittadini italiani da loro stessi. Ripetiamo gli errori che hanno provocato la crisi italiana. Stessa attitudine mostrano i nostri partner europei, che non da oggi considerano l’Italia un fastidioso problema da tenere sotto controllo. Ma tentare di difendere la democrazia dalla democrazia conduce solo al populismo e al discredito delle istituzioni democratiche. Gli italiani devono poter scegliere e poi confrontarsi con gli effetti delle loro scelte. Senza consapevolezza e responsabilizzazione non smonteremo gli alibi di cui i sovranisti si nutrono.

Le elezioni sarebbero state una sfida difficile. Un Governo di destra appariva senz’altro l’esito più probabile. Più probabile, ma non certo. Abbiamo visto in altri paesi europei come la vittoria della destra, data per certa nei sondaggi, sia stata poi smentita nelle urne. Sarebbe stata una bella battaglia. Avremmo chiamato alla mobilitazione l’Italia seria, quella che lavora, produce, studia e fatica. Da quella sfida saremmo usciti comunque più forti e coesi.

So che condividete queste riflessioni. Ne abbiamo parlato tante volte. E comprendo le condizioni difficilissime in cui vi siete trovati ad agire. Anche per questa ragione sono rimasto in silenzio fino all’apertura delle consultazioni. Ma non posso far finta di non vedere la responsabilità che vi siete assunti rinunciando a guidare il partito nella direzione che ritenevate giusta per paura di perderlo.

Lascio una dirigenza di cui non mi sento più parte, non una comunità che sono orgoglioso di rappresentare. Le 280.000 persone che mi hanno accordato il loro voto di preferenza alle elezioni europee sapevano perfettamente come mi sarei comportato in caso di accordo con i 5S. A loro devo innanzitutto coerenza.

Lavorerò in Europa nel gruppo SeD, mentre in Italia rafforzerò Siamo Europei per dare una casa a chi vuole produrre idee concrete per una democrazia liberal-progressista adatta a tempi più duri e non ha paura del confronto con i sovranisti. Cercherò di mobilitare forze nuove. La mancanza di decoro generalizzata degli attori di questa crisi dimostra chiaramente che c’è l’urgenza di chiamare all’impegno una nuova classe dirigente.

Le elezioni arriveranno. Le avete solo spinte più in là di qualche metro. Quando sarete pronti a lottare ci troveremo di nuovo dalla stessa parte.

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