Chi è Vincenzo Scarantino, uno degli artefici della strage di Via d’Amelio

Conosciamo meglio la storia di Vincenzo Scarantino, accusato di aver partecipato all’attentato di Paolo Borsellino in Via d’Amelio. 

Vincenzo Scarantino
Screenshot video

Questa sera su RaiUno andrà in onda il film “Paolo Borsellino – I 57 giorni” e così scopriamo da vicino la storia di uno degli attentatori del giudice palermitano con l’attentato in Via D’Amelio a Palermo, Vincenzo Scarantino. Nasce nel capoluogo siciliano il 21 ottobre 1965 venendo così arrestato il 29 settembre 1992 proprio perché accusato di aver partecipato all’omicidio. Prima viene recluso nel carcere di massima sicurezza di Pianosa, poi successivamente lo stesso Scarantino iniziò a collaborare con gli inquirenti spiegando la pianificazione della strage di Borsellino venendo così condannato a 18 anni. Poi l’uomo accusò gli stessi magistrati e poliziotti visto che era stato costretto a fare quelle dichiarazioni. Nel 1998 ammise di non aver fatto della spedizione dell’attentato di Via D’Amelio, ma fu costretto a dire il falso da Arnaldo La Barbera, ex capo della squadra mobile di Palermo. La sua storia è così ancora avvolta nel mistero.

Se vuoi seguire tutte le nostre notizie in tempo reale CLICCA QUI

Chi è Vincenzo Scarantino, tutta la verità

Pochi mesi fa è tornato a deporre nell’aula bunker di Caltanissetta Vincenzo Scarantino che ha svelato: “Erano tutti consapevoli che io non sapevo niente. Ma dovevo portare questa croce… Mi hanno rovinato l’esistenza, io non ho mai fatto niente. Non c’entro con le stragi. I poliziotti mi dicevano cosa dovevo dire ai magistrati e me lo facevano ripetere. Io ero un ragazzo. E se non combaciavano le cose che dovevo dire, loro mi dicevano di non preoccuparmi. Io andavo dei magistrati e ripetevo, quando ci riuscivo, quello che mi facevano studiare”.

Poi ha aggiunto: “Ma non sempre riuscivo a spiegare ai magistrati o alla corte quello che (i poliziotti ndr) mi insegnavano. Loro mi dicevano. ‘Quando non sai una cosa basta che dici ai magistrati che devi andare in bagno, tu ti allontani e poi ci pensiamo noi. Ti diciamo noi quello che devi dire’. Quando andavo alle udienze dicevo che dovevo fare la pipì, andavo nella stanza e mi dicevano loro cosa dire. E io poi n aula cercavo di ripetere le cose che mi dicevano”. Da ormai circa 25 anni e ancora non è cambiato nulla.

Impostazioni privacy