Silvia Toffanin si confessa: “Ecco perché ho paura”

Dietro il volto mite e sorridente, ma al tempo stesso fiero e deciso di Silvia Toffanin si nasconde una paura antica e mai del tutto superata.

Giovane, bella, fortunata: Silvia Toffanin sembra essere la classica ragazza a cui la vita ha dato tutto (e di più). Conduce da anni una delle trasmissioni di maggior successo di Canale 5, Verissimo, ha un marito – un certo Pier Silvio Berlusconi – e una famiglia che l’adorano e per il futuro può aspettarsi solo il meglio. Eppure, chi l’avrebbe mai detto, nel suo passato ci sono paure antiche e mai del tutto superato che di tanto in tanto tornano a riaffiorare. A rivelarlo è lei stessa in una confessione inedita con il settimanale Grazia.

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Il passato insospettabile di Silvia Toffanin

“I miei genitori lavoravano, e io passavo molto tempo coi nonni – racconta Silvia Toffanin nell’intervista esclusiva -. Il nonno mi raccontava i pettegolezzi del posto. Mi coinvolgevano nelle loro attività: Rosario, processione durante il mese della Madonna. Briscola, Settebello. Giocavamo spesso a carte, vincevo”. Un’infanzia e un’adolescenza come quelle di tante altre ragazze dunque. Poi il viaggio a Roma per tentare una carriera nel mondo della moda e dello spettacolo a soli 18 anni. Quindi ll’esperienza come “letterina” di Passaparola, condotto da Gerry Scotti, e, un passo dopo l’altro, l’approdo al ruolo di conduttrice di uno dei rotocalchi più importanti della televisione italiana.

Ma il passato non passa. E quello di Silvia Toffanin è stato segnato da una paura costante che, se in qualche modo l’ha aiutata a crescere, è un ostacolo insuperato. Lo ha ammesso lei stessa ricordando i suoi primi amori e la difficoltà di gestire un padre geloso. “In paese si usava che i ragazzi, le comitive di amici citofonassero per dire ‘scendi’, senza esserci messi d’accordo prima – ha ricordato Toffanin – . Rispondeva mio padre, e ogni volta: ‘Silvia non c’è’. Non mi faceva uscire. Ogni tanto mi permetteva di andare in discoteca, a condizione che mi accompagnasse lui. Mi aspettava chiuso in macchina nel parcheggio. Inutile dirgli di andarsene a casa per tornare a riprendermi. Non si muoveva da lì”.

Sua madre è stata la sua più grande sostenitrice: le diceva “Vai, viaggia, non fare come me che sono rimasta qui”. Ma poi anche il padre ha capito. “Era come se mi stesse dicendo: ‘Io ti ho insegnato a camminare, ora tocca a te’. Milano, Parigi, Atene, Londra, Barcellona. Avevo iniziato a lavorare molto”. Però non tutto è stato così facile come potrebbe sembrare: “Io mi sento sempre un pochino a disagio – ha confessato Toffanin -. Ovunque, anche oggi. Allora avevo paura di tutto, il mio freno o salvezza è stata la paura. Paura di uscire, paura delle menzogne. La mia vita erano lavoro e casa”.

“Da bambina sognavo i vestiti – ha continuato Silvia Toffanin -. A 14 anni, con i soldi dei primi lavori, servizi fotografici per cataloghi di negozi della zona, in genere tute da sci, compravo i vestiti. Mia madre ha conservato di sicuro i cataloghi. Me ne sono andata di casa che avevo sulla parete i poster di Claudia Schiffer, sul letto i pupazzi, ed è ancora tutto lì. La mia cameretta è rimasta intatta”. Compreso quello scheletro nell’armadio.

EDS

 

 

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