Yara Gambirasio, chi era la ragazzina uccisa da Bossetti

La morte di Yara Gambirasio è una vicenda chiusa, almeno dal punto di vista giudiziario. Il 12 ottobre 2018, la condanna all’ergastolo di Massimo Giuseppe Bossetti – riconosciuto come unico colpevole – ha messo un punto definitivo al lungo iter giudiziario. 

Il sorriso, i capelli al vento, una vita strappata via troppo presto. Così, nelle foto, appare Yara Gambirasio, la tredicenne uccisa – secondo l’accusa – da Massimo Bossetti. Yara nasce il 21 maggio del 1997 e muore il 26 novembre del 2010, la sera stessa in cui è scomparsa. L’ultima volta, viene vista all’interno del centro sportivo di Brembate di Sopra, dove si allena in ginnastica ritmica, quel venerdì alle 18:44. Da quel momento in poi, nessuno la vede più. Yara non arriverà mai a casa, quella casa distante 700 metri dalla palestra dove abitava insieme ai suoi genitori. Tre mesi dopo la scomparsa, il suo corpo viene ritrovato in un campo abbandonato a Chignolo d’Isola, a pochi chilometri da Brembate di Sopra, in provincia di Bergamo, dove la ragazza viveva.

Sul suo corpo, vengono rilevati numerosi colpi di spranga, un trauma cranico, una profonda ferita al collo e almeno sei ferite ad arma da taglio. La morte, secondo gli esami autoptici effettuati sul corpo della ragazzina, è sopraggiunta in un momento successivo all’aggressione, a causa del freddo e dell’indebolimento dovuto alle lesioni. Sul corpo non appaiono segni di violenza carnale. Non si sa neanche oggi quale legame ci sia stato tra lei e Massimo Giuseppe Bossetti, arrestato il 16 giugno 2014. Muratore di Mapello incensurato, sostiene tutt’oggi la sua esistenza. Ma
la sovrapponibilità del suo DNA nucleare con quello di colui che era stato etichettato come “Ignoto 1”, rilevato sugli indumenti intimi di Yara e ritenuto dall’accusa l’unico riconducibile all’assassino per la posizione, in zona particolare e attinta da arma bianca, in cui era stato rinvenuto, non ha lasciato dubbi agli inquirenti.

Yara era una bambina “serena e trasparente“, che passava le sue giornate impegnata tra casa, scuola e palestra. Aveva una sorella maggiore, Keba, e frequentava solo compagne di classe e di ginnastica. Non aveva mai subito episodi di bullismo o parlato di corteggiamenti da parte di uomini adulti, riporta l’Adnkronos. Il centro sportivo che frequentava, in via Locatelli, era un punto di svago e di ritrovo. Non solo uno sport, ma una vera e propria passione. Quella sera del 26 novembre, tuttavia, il suo sorriso si è spento, lasciando un vuoto e una tristezza incolmabile nei suoi genitori e quanti la conoscevano.

Fonte: Adnkronos

Chiara Feleppa

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