Processo alla famiglia Bossi, Renzo e la laurea in Albania: “Lo ignoravo”

Renzo Bossi
(GIUSEPPE CACACE/AFP/Getty Images)

Processo alla famiglia Bossi, il Trota Renzo, figlio del fondatore della Lega Nord e la laurea in Albania: “Lo ignoravo”, tutte le accuse.

Prosegue il processo alla Famiglia Bossi, con protagonista di quest’ultima udienza Renzo Bossi, detto il Trota, accusato di appropriazione indebita. Al centro della questione l’ormai famigerato titolo di studio presso l’Università Kristal di Tirana coi soldi pubblici della Lega Nord. Una laurea della quale il Trota non sarebbe stato nemmeno a conoscenza.

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La laurea in Albania di Renzo Bossi: il Trota accusa Belsito

“I documenti sulla mia laurea li ho visti solo quando sono stati pubblicati durante l’indagine e sono rimasto perplesso prima di tutto perché la data di nascita scritta sul diploma di laurea è sbagliata”, ha risposto il figlio del Senatùr al pm Paolo Filippini, che gli ha chiesto conto di questo titolo di studio. Insomma, sarebbe tutta colpa dell’ex tesoriere e coimputato Francesco Belsito, che avrebbe agito all’insaputa di Renzo Bossi.

Il Trota ha insistito: “Dopo il diploma parlai in famiglia della mia volontà di andare a fare l’Università in America per completare gli studi e poi tornare e dare alla causa del partito quello che avevo imparato ma poi sono entrato in Consiglio regionale, vivevo tra la Lega e il Consiglio, e non mi sono più posto il problema”. Renzo Bossi nega poi di aver chiesto soldi a Belsito, perché “non ne avevo motivo. Non ricevevo alcuna indennità ma semmai, come tutti gli altri eletti, davo un contributo al partito”.

Tutte le altre accuse a Renzo Bossi e la sua difesa

Il figlio del fondatore della Lega Nord nega anche di aver messo in conto al partito le multe prese dai suoi due autisti, dal 2010 nel suo entourage. “Misi a disposizione la mia macchina: di fatto le pagai io e mi trovai a fare la rateizzazione con Equitalia e a versare 14mila euro”, è la sua difesa. Poi ancora: “Sono accusato per una appropriazione indebita che non vedo”.

Presente in Tribunale anche Umberto Bossi, che ha sottolineato come il partito da lui fondato “è vivo e la Lega diventerà più forte di prima nonostante i casini che ci hanno combinato e che sono sfociati in questo processo”. C’è spazio anche per un’accusa nemmeno troppo velata alla classe dirigente che ha preso il comando della Lega dopo di lui: “Quando mi sono dimesso nell’aprile 2011 la Lega aveva 41 milioni di euro che sono spariti”.

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